Nell’immenso bagno di sangue della guerra civile siriana, gli scontri tra governativi e islamisti, i combattimenti tra gruppi ribelli rivali, i bombardamenti aerei e le esecuzioni sommarie e i 130mila morti sino ad oggi, hanno fatto passare in secondo piano le conseguenze del conflitto per i profughi palestinesi. Ora stanno emergendo con contorni sempre più drammatici. A Yarmouk (Damasco), il campo profughi palestinese più noto tra quelli costruiti in Siria, si sta consumando una tragedia senza fine. Occupato da formazioni islamiste anti-Bashar Assad e per questo circondato dall’esercito governativo siriano, il campo si è trasformato una trappola mortale per circa 20mila rifugiati. Si tratta di uomini, donne e bambini che non hanno lasciato Yarmouk come altri 150 mila profughi e che ora si ritrovano prigionieri, sotto il fuoco incrociato di governativi e ribelli. La loro condizione ha innescato manifestazioni e raduni nei Territori occupati – ieri nuovo corteo a Gaza – dove i palestinesi chiedono che sia fatto il possibile per salvare tante persone che rischiano la morte. Il Club dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele ha annunciato che parteciperà alla campagna di aiuti per la popolazione di Yarmouk, raccogliendo fondi. Nelle ultime settimane, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (vicino all’opposizione), almeno 41 profughi sono morti per fame e stenti. Tra loro13 donne e tre bambini. Molti altri sono gravemente ammalati e non hanno medicinali e cure mediche disponibili.

La sorte di questi profughi palestinesi non smuove le parti in lotta. Damasco non intende togliere l’assedio al campo e concede solo dopo negoziati estenuanti i permessi per i convogli umanitari. Convogli che poi non riescono ad entrare a causa dei combattimenti e anche del fuoco dei miliziani ribelli che provano ad approfittare del transito degli aiuti per spostarsi su posizioni più vantaggiose. Dallo scorso luglio l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, non è più riuscita ad avere accesso a Yarmouk. Il portavoce dell’Unrwa, Chris Gunness, parla di una situazione “disperata” per chi è ancora nel campo e ha chiesto che governativi e ribelli lascino entrare gli aiuti umanitari per la popolazione civile. Lunedì è fallito il tentativo fatto dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di portare soccorso ai rifugiati rimasti intrappolati. Il ministro del lavoro dell’Anp, Ahmad Majdalani, incaricato dall’Olp di intavolare le trattative con governo e ribelli per salvare i profughi, ha raccontato che combattenti islamisti hanno aperto il fuoco contro il convoglio di aiuti all’ingresso del campo. Il leader di Fatah in Siria, Adnan Ibrahim, da parte sua non ha fatto riferimento a responsabilità di una delle due parti in lotta e ha solo riferito che con diversi camion di rifornimenti era riuscito ad entrare in una zona di Yarmouk nota come al Sabina. Gli autocarri però sono stati presi di mira da armi da fuoco e hanno dovuto ritirarsi senza poter distribuire gli aiuti alimentari e le medicine. Domenica era accaduto lo stesso a un altro convoglio umanitario. Ieri era previsto un nuovo tentativo.

La popolazione di Yarmouk di 250.000 palestinesi si è ridotta a meno di 20 mila dopo due anni e mezzo di guerra civile in Siria. Dal dicembre 2012 il campo è in parte controllato dagli islamisti e dallo scorso luglio è assediato dall’esercito. A pagare il prezzo più alto sono i bambini palestinesi, a Yarmouk e in tutta la Siria nel pieno di una guerra civile che la prossima Conferenza di Ginevra difficilmente riuscirà a fermare. Secondo i dati dell’Unicef ripresi da “Visualizing Palestine”: due terzi dei bambini palestinesi non va più a scuola per la chiusura di 118 istituti gestiti dall’Unrwa, la maggior parte dei quali sono stati distrutti o trasformati in alloggi per i profughi. La metà dei circa 500mila rifugiati palestinesi in Siria ha lasciato le proprie case ed è fuggito in Libano e Giordania. Altri 1.500 profughi sono arrivati a Gaza, 6mila in Egitto e 1.600 in Turchia.