Non ci sono più dubbi: le ong egiziane non hanno un minuto di respiro. I 43 imputati del processo, iniziato nel 2011, sono stati condannati fino a cinque anni di prigione con l’accusa di lavorare per organizzazioni non governative non registrate e finanziate dall’estero. Con il verdetto di ieri, la Corte ha ordinato anche la chiusura di cinque ong straniere che operano in Egitto, procedendo alla confisca dei loro beni: tra queste le associazioni americane Freedom House e National Democratic Institut. A cui si aggiungono le chiusure di istituti di ricerca politica (come l’International Republican Institute che avrebbe ricevuto illegalmente 22 milioni di dollari) e le associazioni di giornalisti indipendenti (come l’Icfj). Tra i condannati ci sono anche cittadini americani, tedeschi, serbi, norvegesi, palestinesi e giordani, oltre a 16 egiziani. I condannati in contumacia (è stato dato loro il permesso di lasciare il paese nel marzo 2012) hanno ricevuto le pene più severe: pari a cinque anni di carcere.

Il caso è partito con la perquisizione, ordinata dal ministro per la cooperazione internazionale Fayza Abul-Naga, di 17 ong, alla fine del 2011, nel pieno della gestione della giunta militare. In quel caso gli Stati uniti minacciarono immediatamente di limitare gli aiuti internazionali all’Egitto qualora il processo fosse proseguito. Secondo l’avvocato dell’Ndi, Sarwat Abdel-Shahid, l’intera vicenda si inquadra in uno scontro tra Egitto e Stati uniti sugli aiuti internazionali. «Non esiste un caso ma solo un conflitto tra autorità egiziane e governo degli Stati uniti», aggiunge. In verità, il blitz ha inaugurato la repressione della società civile e della stampa indipendente che di fatto continua ancora oggi con la legge appena approvata che regola le ong egiziane. Tra gli aspetti più controversi del testo di legge c’è il ruolo delle forze di sicurezza nel controllare gli introiti delle ong, limitando fondi provenienti dall’estero per «ragioni di sicurezza».

Le ong devono rendere note tutte le fonti di finanziamento, rendendosi disponibili a frequenti controlli governativi. L’esecutivo può poi rivedere i progetti delle ong e permettere ad un esponente dell’apparato di sicurezza di indirizzarne l’operato. Hafez Abu Saeda, direttore dell’Organizzazione egiziana per i diritti umani, ha parlato di poteri speciali per gli amministratori, sottratti al controllo dei giudici, per definire cosa è legale e cosa non lo è. In opposizione alla legge, un gruppo di 41 ong ha duramente criticato Morsi parlando di un testo che «impone restrizioni alla libertà di espressione», aprendo la strada ad uno «stato di polizia» simile all’era Mubarak. «I Fratelli musulmani vogliono un controllo diretto sulle ong per impedire che facciano attività politica o che si impegnino in azioni contro il governo. Per questo vengono duramente ridimensionate dal punto di vista economico e finanziario», ci spiega Hesham Foad, dirigente del partito socialista dei lavoratori. Con questa nuova legge, la Fratellanza mette le mani sulla società civile, limitando l’impegno in Egitto della cooperazione internazionale.