Un cervo in metropolitana e altre storie della mia vita con gli animali (traduzione di Laura Serra, Mondadori, «Ingrandimenti», pp. 640, € 24,00) è il titolo felice e accattivante con cui è stato (magnificamente) tradotto Watching. Encounters with Humans and other Animals, pubblicato una prima volta da Desmond Morris nel 2006 e ora presentato in versione ampliata. In ognuno degli ottantadue pezzi c’è un racconto compiuto, un momento per qualche verso memorabile dell’esperienza professionale e umana dell’autore. Bizzarria e paradossalità marcano l’intero libro e anche gli stessi titoli dei capitoli («Un dinosauro in Broad Street», «Un vampiro nei cieli di Londra», «Tostare il pane su un vulcano»,«Una balena a Kew Gardens»…), e dunque il testo andrà accostato più che alle opere dei naturalisti a quelle di umoristi come Sterne, Jerome, Wodehouse o Evelyn Waugh. Questo per dire che la leggerezza, la verve e l’ironia contrassegnano le pagine di un testo che costituisce senz’altro il distillato più prezioso della ricerca dell’autore. Uscito in Italia proprio nel giorno dell’ottantanovesimo compleanno di Morris, Un cervo in metropolitana ha anche tutti i crismi migliori del libro di memorie: qui troviamo le istantanee di un’epoca intera in cui gli individui sono fotografati nei loro slanci emotivi, nelle tensioni alla razionalità e soprattutto nelle loro pulsioni animali.
Le narrazioni colgono Morris intento nei suoi vari ruoli: zoologo, etologo, giornalista televisivo, pittore, curatore dei mammiferi per la Società zoologica inglese, mentore dei talenti artistici di Bobo, lo scimpanzé che aveva imparato a dipingere. Ci sono incontri con animali e incontri con umani, anche celebri (oltre David Attenborough, Yoko Ono, Marlon Brando, Dylan Thomas). Ogni capitolo può essere considerato come una prova narrativa a sé, godibile e perfettamente autonoma, ma il disegno che ne viene fuori è spiazzante. L’operazione complessiva ha molto dell’allestimento teatrale e la sequenza di storie messe in successione trasforma il lettore in uno spettatore stupito e felice. Ogni episodio costituisce una rappresentazione e lo stesso Morris è di scena in qualità di mattatore. È evidente che si tratta della struttura modulare di chi ha fatto tesoro dell’esperienza delle trasmissioni televisive (tra le più celebri condotte da Morris Zootime e Life in the Animal World), le stesse che hanno contribuito a consolidare il successo dello scopritore della ‘scimmia nuda’ (1967). Dunque anni e anni di mestiere in televisione come conduttore di programmi settimanali sugli animali hanno affinato le doti dello studioso dal fiuto infallibile nell’intuire cosa piaccia al pubblico, come variare di puntata in puntata e soprattutto come mantenersi in equilibrio sulla linea di confine che separa l’obbligo di attenersi alla deontologia di scientificità e l’istanza di fare buona divulgazione, di informare e intrattenere. Com’è noto, la scelta è stata tra le più felici: gli animali e gli umani sono stati posti gli uni davanti agli altri. Gli studi e le osservazioni del mondo animale hanno condotto Morris a scoperte che hanno modificato una volta per tutte la percezione che l’essere umano ha di se stesso e della propria specie. La creatura che si riteneva superiore a tutti gli altri animali si è vista specchiata in quella della scimmia: non era più un essere superiore ma più modestamente una naked ape, una scimmia nuda, simile al primate che ogni zoo degno di questo nome presenta come una musa inquietante ai visitatori.
Sottratto al bisogno di argomentare e di dimostrare, in questo testo l’autore dà il meglio di sé vagando a proprio piacimento tra i ricordi per riportare alla luce episodi della sua carriera e della sua vita professionale. Tutto è estremamente gioioso in queste 640 pagine che si vorrebbe non finissero mai: ogni storia è raccontata con l’entusiasmo infantile di chi si lascia catturare da una scena e si immerge nell’osservazione attenta di quello che accade e ne ferma il punto saliente in uno sketch, uno schizzo tracciato con tratto rapido e sicuro. Ancora una volta è questa l’arma vincente dello scrittore.
A distinguere questo dai numerosi testi che lo hanno preceduto è dunque il piacere di narrare le situazioni in cui esseri umani e animali si incontrano. Viene sottolineato il ruolo dell’«occhio nudo», che consente all’uomo di osservare con sana curiosità gli aspetti peculiari ed eccentrici del comportamento umano. Ed è proprio l’occhio nudo lo strumento qui ritenuto più efficace nel procedimento scientifico, in grado di garantire la possibilità di fare scoperte e anche di contrastare il processo di invecchiamento. Restare curiosi e capaci di osservare in modo vigile, consapevole e produttivo rimane la migliore medicina per restare giovani e attivi. D’altra parte Morris ha introiettato l’habitus di individuare i fattori comuni tra l’uomo e gli animali e lo applica anche se i soggetti rappresentati sono lui o la moglie. Quando scrive che gli animali attraggono gli individui più eccentrici immette se stesso all’interno di quell’insieme, quale individuo soggetto a pulsioni ataviche e dunque all’interno del suo proprio campo di osservazione. C’è l’episodio delle «due formidabili signore con cappelli simili a torte di compleanno» che si scaraventano nell’ufficio di Morris, conservatore dei mammiferi, per «difendere il buon nome della capra britannica», riprovevolmente costretta a condividere gli spazi e i terribili odori dei caproni. Il self control delle corpulente signore è mantenuto solo dalla capacità messa in campo dal conservatore di entrare in empatia con le visitatrici e di tenere a distanza di sicurezza le loro borsette lucide e minacciose. Un domatore di tigri o un animale alfa non avrebbero saputo far di meglio.
E anche quando si tratta di raccontare il proprio comportamento o quello di sua moglie Ramona, ciò avviene tramite l’occhio vivo dell’etologo fiducioso che la realtà riuscirà a incuriosirlo e sorprenderlo, e il racconto della devastazione compiuta da Bongo accecato dalla gelosia verso un altro scimpanzé include la descrizione dell’uomo di scienza colto nel gesto dell’animale inseguitore di un altro animale; così come quando descrive il cane accudito e salvato da Ramona, il riflettore è più intento sul comportamento della donna che su quello dell’animale.
Naturalmente non poteva mancare in questa narrazione il ricordo di Bongo, lo scimpanzé artista di cui i telespettatori conoscevano prodezze e intemperanze e del quale Mirò, Picasso, Dalí e Penrose prendevano sul serio le espressioni pittoriche. La scrittura di Morris in questo caso è orientata alla rappresentazione vivida di un evento raffigurato nella sua evidenza materiale. Tutti i personaggi umani e animali che compaiono nel libro sono democraticamente resi per quello che è il loro comportamento, ovvero la risposta di un individuo biologicamente complesso agli stimoli dell’ambiente. Non esiste una sfera del ‘pensiero’, né per gli animali ovviamente, né per gli umani.
Ma il testo rivela, soprattutto nelle pagine finali, un forte valore testamentario. E il libro consegna un appello alle generazioni più giovani. Non ha certo funzione di ‘colore’ la rievocazione degli anni di guerra quando nel ’44, nei suoi elaborati scolastici, il sedicenne Desmond paventava per l’intera umanità un futuro apocalittico di inevitabile estinzione; ha, piuttosto, lo scopo specifico di mettere a confronto due età che guardano consapevolmente al futuro. E mentre il liceale prevedeva la catastrofe, questo curioso ed energico quasi novantenne dichiara di avere grande fiducia nei confronti della specie umana, dotata di insopprimibili impulsi sociali, ingegnosa e collaborativa, «la più intraprendente e resiliente che sia mai esistita». Unico suo rimpianto è la consapevolezza di «non poter assistere ai prossimi, straordinari capitoli della nostra storia evolutiva». Ci voleva un novantenne per ricordarci che il futuro, prossimo e lontano, è nelle nostre mani. O forse nelle zampe della bestia che noi siamo.