Andalusa emigrata a Barcellona, anarchica e femminista, avvocato che ha scelto di non esercitare per dedicarsi alla letteratura e alla danza, Cristina Morales è di difficile collocazione nel panorama della narrativa spagnola contemporanea, anzitutto per la sua adesione a un’estetica dissidente che fa del linguaggio uno strumento di lotta ed esprime una rivolta beffarda contro ogni manifestazione del potere, compresa la cosiddetta «nuova politica», pronta ad appropriarsi dei messaggi critici e a svuotarli di significato. Sin dal suo esordio, avvenuto nel 2008, i critici l’hanno indicata come «una virtuosa della scrittura», la cui produzione (un libro di racconti, tre romanzi e una eterodossa versione della vita di Santa Teresa d’Avila) è connotata dal rifiuto delle convenzioni letterarie e di una narrativa che non si mostra capace di intervenire sul nostro modo di vedere il mondo: giudizio del quale i lettori italiani potranno misurare l’esattezza grazie all’arrivo in libreria dell’ultimo romanzo di Morales, Lettura facile (traduzione di Roberta Arrigoni, Guanda, pp. 406, € 19,00) costruito a partire da improvvise virate stilistiche, cambi di tono e materiali diversi, che in Spagna ha suscitato polemiche e conosciuto un imprevisto successo.

Cugine speciali
Lettura facile racconta la storia di quattro donne della stessa famiglia con diversi livelli di disabilità intellettiva che vivono in un appartamento offerto e sorvegliato dalle istituzioni pubbliche di una Barcellona lontana dalla consueta immagine turistica, dove okupas, emarginati privi di risorse e una controcultura tenacemente decisa a resistere convivono con le rivendicazioni e la propaganda della borghesia indipendentista. Uno scenario tutt’altro che neutro, insomma, dove l’autrice (nata a Granada nel 1985) ha scoperto la propria identità di migrante tra migliaia di altri, provenienti da lontananze ben più remote.

Articolato intorno a un procedimento giudiziario e a una fuga, Lettura facile lascia ampio spazio alla prima persona delle cugine Nati, Marga, Àngels e Patri, per nulla disposte a lasciarsi addomesticare e pronte a mettere in questione la società in cui vivono, rivendicando il diritto di essere ciò che sono e di respingerne le norme: protagoniste irresistibili le cui voci si alternano, esibendo un’incontinenza verbale che si avventa contro il discorso del sistema e allo stesso tempo censura il suo opposto, ovvero un silenzio che stabilisce i confini del dicibile. Ciascuna di loro ha i requisiti per apparire una vittima o una caricatura, ma l’autrice si guarda bene dal presentarle come tali e ne sottolinea piuttosto l’intrepida e sempre rinnovata insubordinazione, che interpella il lettore ed esige una sua presa di posizione.

Troppo sesso, signora
Nati, l’unica ad aver studiato, soffre di una misteriosa «sindrome dei pannelli scorrevoli», che a tratti la trasforma in «guerrigliera bastardista» (riferimento diretto alla anarcofemminista boliviana María Galindo, citata nel testo come in epigrafe, che propone di sostituire il termine «bastardo» al più neutro «meticcio») e innesta un furore delirante nella sua critica lucida e sboccata della morale imposta, del sistema patriarcale che impregna tutto, del neoliberismo che tutto corrompe, delle lezioni di danza «integrata», che dovrebbero imporre a membra e menti irregolari un’armonia prestabilita, suscitando la sua rabbia di ballerina decisa a esplorare senza remore il proprio corpo e quelli altrui.

La placida Marga è colei che scatena il conflitto al centro della trama, perché la sua ipersessualità ha indotto le assistenti sociali a proporne la sterilizzazione forzata, spingendola a occupare con l’aiuto degli anarchici un appartamento diroccato, pur di vivere in piena indipendenza. Di Patri ascoltiamo le fluviali dichiarazioni alla giudice che deve decidere la sorte di Marga, mentre Àngels si industria a rievocare su whatsapp il passato del gruppo: l’infanzia in un paesetto, i parenti avidi e opportunisti, l’internamento e la clausura nei centri per disabili dove si impone la disciplina per mezzo dei farmaci, e infine il modo in cui le cugine sono riuscite a uscirne per approdare all’alloggio della Barceloneta.

Inevitabile, davanti a figure come queste, il rimando a testi quali L’urlo e il furore di Faulkner, o Las primas dell’argentina Aurora Venturini, la cui protagonista è una disabile mentale che impara a scrivere per raccontarsi, o ancora, per ammissione dell’autrice, Tonto, muerto, bastardo e invisible di Juan José Millás e Fiori per Algernon di Daniel Keyes, fino a «Makoki», serie a fumetti degli anni ’80 di Gallardo e Mediavilla su un picaro in fuga dal manicomio, che a sua volta richiama l’antieroe del Mistero della cripta stregata di Eduardo Mendoza, catapultato dall’istituzione psichiatrica in una Barcellona sordida e oscura. Diversamente dagli autori citati, però, Morales imbocca in modo esplicito la via del romanzo politico, trasformandolo in un sabba quasi carnevalesco e rinunciando a ogni dogmatismo per adottare una comicità che non ne sminuisce la forza critica.

La prosa di Morales è demolitrice, intenzionalmente eccessiva e abilissima nell’adottare registri differenti, dalla confessione al sarcasmo alla rabbia alla parodia, ma anche nel mescolare generi diversi, come le fanzine libertarie (punto di riferimento ineludibile per l’autrice, che ne riproduce integralmente una proprio nel cuore del romanzo), il pamphlet, il saggio (alcune teorie rifanno all’esperienza con il collettivo di danza Iniciativa Sexual Femenina), i verbali giudiziari insieme glaciali e ridicoli, gli atti delle assemblee anarchiche che registrano con ironia il candore puerile di certi dibattiti, ma confermano la possibilità di un agire solidale.

Corpi dissidenti
Nell’alternarsi di generi e voci che interrompono e fratturano la trama, così da favorire brechtianamente il distanziamento del lettore dai personaggi e obbligarlo a concentrarsi sul senso del discorso, spiccano le memorie di Àngels, fedeli al metodo «lettura facile» creato negli anni Sessanta per garantire a chi abbia difficoltà di lettura l’accessibilità dei testi (il catalogo degli adattamenti disponibili è ampio e va dal documento legale a Virginia Woolf), rendendoli diretti e concisi, eliminando le astrazioni e servendosi di un vocabolario basico o spiegando ogni termine complesso.

Questo stile nudo, che scarnifica la realtà (e che Angels, pur usandolo, mette in questione come un ulteriore tipo di tutela), sembra opporsi alle torrenziali e sboccate invettive di Nati, ma in realtà le completa e segna pause esilaranti e tristissime nel complesso montaggio di un romanzo altrimenti denso e carnale, che sembra suggerire la «corporeità» del testo. E proprio il corpo dissidente e desiderante è uno dei temi principali di Lettura facile, le cui pagine trasudano fluidi, secrezioni, odori, contatti fisici e amplessi, che si insinuano nelle crepe del sistema e mirano a ridefinire il limite, oppure a dissolverlo.