Un governo in carica, dice il Quirinale, c’è. E non è inoperoso. Anzi, in questi pochi giorni di stallo totale, Monti e parlamento potrebbero decidere di spendere tutto il poco che si può (circa 40 miliardi) da qui al 2014 pagando i debiti con le imprese. Niente va più. Un’ipoteca reale e quasi definitiva su qualsiasi «governo di cambiamento».

Oggi pomeriggio infatti camera e senato si riuniscono per votare una relazione del governo sui conti pubblici che è l’antipasto del Def, il documento che avvia il lungo travaglio della finanziaria (legge di bilancio). Il governo riconosce che l’economia è «gravemente compromessa» e, com’è noto, Monti per rivitalizzarla ha in mano una carta sola: 40 miliardi di euro come rimborsi di crediti alle imprese, 20 miliardi a partire da giugno 2013 e altri 20 nel 2014. Questi crediti riguardano un’impresa italiana su 4, per un importo totale che Bankitalia stima in tutto in 91 miliardi, di cui 11 già ceduti a intermediari finanziari.

Se così fosse, con il deficit ipotizzato al 2,9% del Pil, un pelo sotto il fatidico 3% per il quale l’Italia è sotto osservazione europea (il verdetto è atteso a maggio) si tratterebbe dell’unica e ultima scelta di politica economica a disposizione di questo e del prossimo governo.

Anche perché i tecnici non hanno affatto «salvato» l’Italia come promettevano. Nero su bianco, Monti e Grilli scrivono che quest’anno il Pil calerà almeno dell’1,3% (a settembre prevedevano -0,2%).

Anche il quadro fiscale è drammatico. Secondo gli stessi conti fatti dal governo, nonostante il calo dei redditi le entrate tributarie esplodono. Le imposte dirette ammonteranno l’anno prossimo a 244 miliardi di euro e quelle indirette addirittura a 250 miliardi. Per fare un paragone, il consuntivo 2011 (subito prima dell’arrivo di Monti) diceva 226 miliardi di imposte dirette e 222 miliardi quelle indirette.

Quindi in tre anni +28 miliardi per l’aumento dell’Iva e +18 miliardi per le altre tasse.

L’idea di fondo di tutti questi numeri è che visto il crollo verticale dell’economia registrato alla fine dell’anno, le entrate (pur pompate al massimo) calano di più di quanto facciano le spese. Non a caso, nonostante il livello record della pressione fiscale, all’erario mancheranno 15,5 miliardi di euro (mica poco, l’1% del Pil) per il minore gettito dovuto alla crisi. E altri 10 miliardi si prevede mancheranno nel 2014. Segni meno non pareggiati nemmeno dal miglioramento dello «spread» sugli interessi del debito (secondo le stime sono 6,5 miliardi risparmiati nel 2013 e altri 5 nel 2014). Poca cosa infine l’effetto della spending review: meno di 5 miliardi i risparmi di spesa in più previsti nel biennio.

In questo quadro critico, la giornata di oggi sulle borse sarà la cartina di tornasole delle ultime, estreme, azioni di Napolitano, che proprio per tranquillizzare i mercati ha detto che resterà in carica «fino all’ultimo giorno del mandato» lascia a Palazzo Chigi anche Monti nonostante non abbia mai ricevuto la fiducia dalle nuove camere.

Di sicuro, la pantomima di questo stallo non reggerà a lungo. Approvata la relazione, il governo ha quasi pronto il decreto che sblocca questi 40 miliardi, che dovrebbe dunque essere approvato già dal prossimo consiglio dei ministri per essere poi inviato al parlamento, dove ancora però non sono insediate le commissioni, inclusa quella fondamentale del Bilancio che dovrebbe esaminarlo, insieme alle eventuali proposte su rinvio dell’aumento dell’Iva e della Tares, soluzione «esodati», etc. eventualmente avanzate dai «saggi economici» insediati al Quirinale.