Leonardo Sciascia nel 1986, invitato sulle pendici del Gargano dal suo amico Antonio Motta di San Marco in Lamis, in visita a Monte S. Angelo definì la cittadina garganica «un paese irregolare». L’abitato, infatti, si estende lungo tutto il crinale della montagna collocata a 831 metri e nasce intorno alla grotta di San Michele, che l’Arcangelo, secondo la leggenda, scelse quale sede terrena per le quattro apparizioni risalenti al V secolo, quella del Toro nel 490, della Vittoria nel 492, della Dedicazione nel 493 e nel 1656 per fermare la peste che mieteva vittime.

L’ importanza strategica del controllo politico-religioso del Santuario di San Michele, divenne occasione di ripetute guerre tra i Bizantini di istanza a Bari e i Longobardi che avevano scelto Benevento come centro nevralgico della Longobardia Minor. A metà del VII secolo i Bizantini attaccarono il Santuario per affermare il proprio controllo sull’intera Puglia, ma a difesa accorse Gromualdo I, duca di Benevento, che secondo la leggenda mosse le sue truppe in seguito all’apparizione in sogno di San Michele (la seconda delle quattro detta Apparitio), che lo sollecitava alla difesa del Santuario. La vittoria dell’8 maggio fu all’origine della festa longobarda dell’Angelo sul Gargano, unitamente a quella più tradizionale di epoca romana del 29 settembre, date che ancora oggi celebrano l’Arcangelo.

Dopo la vittoria di Gromualdo I la grotta di San Michele fu inserita tra i Santuari Nazionali Longobardi e divenne luogo di culto micaelico della Via Sacra dei Longobardi.

A metà del X secolo fu una tappa obbligata dei Crociati, che a Brindisi si imbarcavano per la Terrasanta. Documenti storici attestano che i pellegrini che si incamminavano da Benevento a Monte S. Angelo, lungo la Via Sacra Longobarda, godevano della massima protezione.

La regina Ansa
Infatti, le disposizioni date dalla regina longobarda Ansa, moglie del re Desiderio (756-774), rassicuravano il pellegrino: «Non dovrai temere né le frecce dei predoni né il freddo, né le nubi della notte oscura … per te la regina fece allestire ampi ricoveri e cibo» (Epitaphium Ansae reginae ). In realtà il culto micaelico, diffusosi in tutta Europa, fu utilizzato dal potere come strumento religioso e politico di unione dei sudditi longobardi.

Numerosi sono i nomi, soprattutto di Germani, incisi lungo la scalinata che porta alla Grotta di San Michele, e caso eccezionale, si rilevano nomi di donne Longobarde nelle iscrizioni sui muri. La presenza femminile in questo luogo di culto non è casuale, infatti nel Medioevo a qualche chilometro da Monte S. Angelo, a metà tra il Santuario di san Michele e l’abazia di Pulsano, sorse il monastero femminile dedicato a Santa Bernabea, uno dei tre della provincia di Foggia, le cui fonti storiche furono distrutte dapprima da Ferdinando d’Aragona e poi nel 1943 con la ritirata dei tedeschi da Napoli.

I Longobardi fecero dell’Arcangelo il loro santo per eccellenza, tanto da raffigurare la sua effigie sugli scudi e sulle monete. Da allora il culto micaelico si diffuse in tutto l’Occidente e Monte S. Angelo nell’Alto Medioevo divenne luogo di passaggio obbligato del lungo pellegrinaggio che faceva parte del trinomio Homo (visita alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo a Roma e alla tomba di San Giacomo di Compostela in Spagna), Angelus (visita all’Angelo della Sacra Spelonca a Monte S. Angelo), Deus (visita ai luoghi della Terra Santa a Gerusalemme) e, nel corso dei secoli, centro di grande spiritualità tanto da essere conteso da Bizantini, Longobardi, Svevi, Angioini e Aragonesi, popoli che si disputarono il dominio della Puglia e del Mezzogiorno. I segni di quelle civiltà si possono apprezzare nei monumenti che caratterizzano Monte S. Angelo.

Federico II
Ai Normanni si deve la costruzione della Torre dei Giganti del castello che, sotto gli Svevi con Federico II, divenne sede residenziale dove Federico trascorse lunghi periodi con la contessa Bianca Lancia di Torino. Gli Angioini lo trasformarono in prigione di Stato e con gli Aragonesi tornò al suo antico splendore. Le chiese di Monte S. Angelo, ben 26, un numero elevato se confrontato alle poche migliaia di abitanti, testimoniano l’intensa storia religiosa della cittadina garganica.

Tra la fine del X e la metà del IX secolo, Monte S. Angelo subì la seconda ellenizzazione ad opera dei Bizantini, e su commissione dell’amalfitano Pantaleone, appartenente alla nobile famiglia dei Murano, nel 1076 furono realizzate a Costantinopoli le porte di bronzo della Basilica raffiguranti tre delle quattro apparizioni di San Michele. Le porte rappresentano una delle grandi meraviglie dell’arte bizantina, tanto che sul finire degli anni’60 del secolo scorso, su disposizione del ministero dei Beni Culturali, dovevano raggiungere Atene quale pezzo forte di una mostra internazionale sull’arte bizantina, ma non arrivarono mai nella capitale greca, perché furono bloccate da una rivolta popolare scoppiata a seguito di false dicerie che accusavano i canonici della Basilica di San Michele di volerle vendere. Quella rivolta era anche espressione delle difficili condizioni di vita dovute a una diffusa disoccupazione. Per placare gli animi le autorità ecclesiastiche provvidero a sostituire i preti con i monaci benedettini. La rivolta popolare però non cambiò affatto le condizioni sociali dei cittadini che ben presto presero la via dell’emigrazione verso il triangolo industriale Milano, Torino, Genova e oltre frontiera, dove li attendevano le miniere del Belgio, i centri industriali della Germania, della Francia e della Svizzera.

Monte S. Angelo oggi è l’unica città in Italia, con Tivoli e Padova, ad essere sede di due patrimoni Unesco: la città che è riconosciuta come luogo della civiltà Longobarda (insieme a Cividale del Friuli, Brescia, Castelseprio Torba, Campello, Spoleto e Benevento) e la Foresta che è considerata unica per le sue faggete. Se siete diretti in Puglia o verso le mete turistiche del Gargano più famose, come Vieste, Mattinata, Peschici, una piccola deviazione verso l’interno vi farà scoprire tesori artistici e paesaggistici di inestimabile valore.

Il percorso: il progetto europeo della via «micaelica»
Il culto micaelico ha segnato la toponomastica Europea e italiana. Se la sua origine è posta in Asia Minore, nella Frigia, probabilmente intorno al III secolo, per estendersi nel IV e VI a Costantinopoli, furono i Bizantini, i Longobardi e i Saraceni, che si contesero con le guerre l’Italia meridionale, a diffondere il culto in Europa. Nel 1922, la studiosa russa Olga Rojdestvenky nel libro Le cult de saint Michel et le Moyen Age latin contava nella Francia settentrionale sessantatrè località recanti il nome di San Michele. Nello stesso periodo in Italia vi erano centoventi comuni o frazioni con il nome dell’ arcangelo.

La figura di San Michele, rispetto agli altri santi legati materialmente a una città (S. Antonio a Padova, S. Pietro e Paolo a Roma, S. Gennaro a Napoli, ecc) è stata caratterizzata da una mancanza di territorialità, e questo ha reso il culto dell’arcangelo universalmente disponibile (si veda l’interessante volume monografico Il Giannone dedicato ad Armando Petrucci Scritti garganici e pugliesi curato da Nunzio Bianchi, editore Motta).

In virtù di tale universalità, oggi si sta progettando una «Via Micaelica europea», come la via Francigena, tra gli Itinerari culturali del Consiglio d’Europa per riattivare il percorso europeo dei pellegrini che rendevano omaggio a San Michele fin dall’antichità. Il progetto coordinato dal comune di Monte S. Angelo, vede coinvolti Comuni, Regioni, le Università di Bari e di Torino per l’Italia ed enti ecclesiastici su scala internazionale. Nel 2018, dopo il gemellaggio con la Sacra di San Michele in Piemonte, il comune garganico ha stretto una collaborazione con Mont Saint-Michel per creare una rete internazionale della «Linea Sacra di San Michele». Il percorso inizia in Irlanda dove sorge il monastero di Skellig Michael e prosegue in Inghilterra, a St. Michael’s Mount, una piccola isola della Cornovaglia sud-occidentale, che si unisce alla terraferma in tempi di bassa marea. Sull’isolotto l’Arcangelo Michele sarebbe apparso a un gruppo di pescatori nel 495.

La Linea Sacra prosegue fino in Francia e tocca il più famoso dei luoghi micaelici: Mont Saint-Michel. Secondo la leggenda, qui nel 709 l’Arcangelo apparve ad Auberto, vescovo di Avranches, ordinandogli di costruire una Chiesa nella roccia, ma la richiesta fu ignorata dal vescovo per ben due volte e San Michele spazientito gli perforò il cranio con un dito, lasciandolo però in vita. A mille chilometri più a sud in Val di Susa, sorge la Sacra di San Michele. La costruzione dell’abbazia inizia intorno all’anno Mille e nel corso dei secoli si sono aggiunte nuove strutture tra le quali la foresteria, che accoglieva i pellegrini che percorrevano la via Francigena.

Altri mille chilometri in linea retta intercorrono tra il Piemonte e il Gargano, dove una grotta inaccessibile è diventata un luogo sacro: il Santuario di San Michele Arcangelo. La sua costruzione iniziò intorno al 490 a seguito della prima apparizione dell’Arcangelo Michele al vescovo Lorenzo Maiorano di Siponto, (dove oggi sorge la città di Manfredonia) istituzione ecclesiastica dei Longobardi di Benevento. Il percorso micaelico prosegue dal Santuario di San Michele a Monte S.Angelo fino all’isola di Symi in Grecia e tocca il sesto santuario dove sorge il monastero dedicato all’Arcangelo e al cui interno è custodita una statua di San Michele alta tre metri, tra le più grandi al mondo.

La Linea Sacra micaelica si conclude in Israele, al Monastero del Monte Carmelo ad Haifa, un luogo sacro venerato fin dall’antichità, la cui costruzione come santuario cristiano e cattolico risale al XII secolo. La via Francigena e la via Micaelica hanno tratti comuni, avendo come denominatore la cristianità e il culto dei luoghi sacri. Quelle vie furono intreccio del potere politico e religioso, non a caso furono luoghi di passaggio di principi, re e papi. A Monte S. Angelo, si sono recati in pellegrinaggio al Santuario di San Michele i papi Gelasio I, Agapito I, Leone IX, Urbano II, Pasquale II, Callisto II, Innocenzo II, Alessandro III, Gregorio X, Celestino V e nel maggio del 1987 Giovanni Paolo II. Furono invece papi devoti e benefattori, soprattutto quando il Santuario subì distruzioni e saccheggi nel corso dei secoli, in particolare a opera dei Saraceni, Bonifacio II, Gregorio I Magno, Vitaliano I, Gregorio II, Leone IV, Marino II, Giovanni XIII, Benedetto IX, Clemente VI, Bonifacio IX, Giulio III, Leone XIII, Pio XII, Giovanni XXIII.

A Monte S. Angelo sembra che si sia recato anche San Francesco. Non ci sono scritti nelle Fonti francescane che accertino la sua presenza, ma è documentato che Francesco fu per ben due volte in «terra di Apulia» come citano le Fonti francescane, anche se non sono indicati i luoghi dove egli si fermò. San Francesco arrivò in Puglia nel 1216 e in quel periodo il pellegrinaggio alla Grotta di San Michele a Monte S. Angelo era al suo apice, vi transitavano anche cavalieri diretti in Terra Santa perciò «è impensabile immaginare che Francesco, devotissimo dell’Arcangelo, amante della cavalleria e in cammino verso Gerusalemme non ci sia andato. Tante leggende locali lo affermano e le leggende non nascono a caso. In Umbria venivano organizzati pellegrinaggi verso il Gargano e per un pellegrino per eccellenza come era lui andare a una delle mete principali del pellegrinaggio d’Italia e d’Europa era cosa da fare» sostiene Angela Serracchioli, autrice del libro Con le ali ai piedi. Nei luoghi di san Francesco e dell’arcangelo Michele (Terre di Mezzo).

Si sa per certo che a rendere omaggio a San Michele al Santuario di Monte S. Angelo si recò Fra’ Egidio, il più fedele degli amici e tra i primi seguaci di San Francesco. Nei suoi scritti San Francesco menziona spesso l’Arcangelo e nelle Regole e ammonizioni raccomanda: «Ciascun ministro possa riunirsi ogni anno con i suoi frati, ovunque piaccia a loro, nella festa di san Michele Arcangelo». La festa ancora oggi si celebra a Monte S. Angelo il 29 settembre con la caratteristica processione e innumerevoli iniziative.

L’abbazia di Pulsano e gli eremiti antichi e moderni
Sulle rocce del Gargano che si adagiano sul Tavoliere, a otto chilometri da Monte S. Angelo si erge l’Abbazia di Santa Maria di Pulsano, le cui fondamenta risalgono al VI secolo. Qui sembra che Annibale vi abbia fatto trascorrere un lungo periodo di riposo ai soldati, dopo aver sconfitto i romani nella battaglia di Canne del 216 a. C.

Tra il VI e il X secolo, l’Abbazia di Pulsano visse un periodo fiorente, ma le frequenti incursioni e distruzioni ad opera dei Saraceni ai danni del Santuario di San Michele ebbero ripercussioni anche sull’Abbazia. Questa risorse nel XII secolo con il monaco Giovanni da Matera, noto per la vita eremitica e ascetica, condotta anche dai suoi seguaci. Ancor oggi nei dintorni dell’Abbazia di Pulsano sono ben visibili le grotte scavate nella roccia calcarea dei valloni circostanti, si tratta di celle eremitiche con iscrizioni e affreschi latini. L’ultimo eremita è vissuto negli eremi di Pulsano fino al 1958, cibandosi solo di erbe.

Il complesso eremitico è tipico della civiltà rupestre e si ritrova anche a Vieste, Vico del Gargano, Peschici e Cagnano Varano. Il fenomeno è presente in altri centri che appartengono all’area pugliese del versante Jonico come Nardò, Gravina di Puglia, Monopoli. Oltre alla vita eremitica, intorno all’Abbazia di Pulsano nacque una fiorente comunità cenobitica e laica, come testimoniano reperti di numerose costruzioni nei pressi del monastero, che ebbe un ruolo di trait-d’union con Monte S. Angelo. Infatti, la vita monastica e quella di comunità non sempre furono antitetiche. L’abate Gioele (1145-1177), succeduto a Giovanni da Matera e a Giordano, ottenne la visita di papa Alessandro III che si era recato alla grotta dell’Arcangelo Michele a Monte S. Angelo. Prima di imbarcarsi a Vieste per Venezia, papa Alessandro III con una bolla prese sotto la sua protezione l’Abbazia di Pulsano ordinando a quella comunità la vita eremitica.

All’interno, al centro dell’abside, vi era la pregevole icona di S. Maria, poi trafugata e non più ritrovata, espressione della scuola bizantino-italiana dei «Ritardatari» che era fiorente in Puglia e in Basilicata nel XII e XIII secolo. Oggi si possono ammirare ancora l’architettura e la scultura figlie dell’arte romanica diffusa nell’ XI secolo nella Daunia. L’Abbazia è retta da due monaci laici, uno dei quali, Efrem, si dedica alla vasta biblioteca ricca di pregevoli testi raffiguranti icone bizantine, ai quali si aggiungono i circa 15 mila volumi lasciati da Tommaso Federici che, docente presso la Pontificia Università di Roma è sepolto dal 2002 presso l’Abbazia. A domeniche alterne nell’Abbazia si celebra la messa con rito bizantino e rito latino, a testimonianza che l’Oriente ha qui radici profonde da secoli. Oggi Pulsano è un luogo di grande spiritualità e costituisce una tappa fondamentale per i camminatori della Via Sacra Longobarda e della Via Francigena, che portano entrambe a Monte S. Angelo. (Ha collaborato Silvia di Iasio)