L’odio anti-Pkk è diventato un sentimento anti-kurdo. Non si contano gli attacchi alle sedi del partito della sinistra kurda in tutto il paese. Il leader del partito democratico dei popoli (Hdp), Selahattin Demirtas, ha accusato il partito di Erdogan di volere la guerra civile. «Ci troviamo di fronte a una campagna di linciaggio», ha aggiunto Demirtas commentando gli attacchi a 140 sedi di Hdp da parte degli ultra-nazionalisti.

L’obiettivo, secondo il leader politico, è di sovvertire il voto del 7 giugno scorso per consentire ad Akp di mettere le mani sulla Costituzione. Demirtas ha avvertito in particolare i sostenitori di Akp che attaccano i kurdi credendo di farlo in nome del governo: «Quel governo che li sosterrebbe è caduto», ha chiosato Demirtas in riferimento alla sconfitta elettorale del partito di Erdogan. Garo Paylan, parlamentare Hdp, ha accusato le forze di polizia di non essere intervenute per fermare lo scempio in corso. Negli incendi alle sedi di Hdp sarebbero andati in fiamme anche documenti e firme in preparazione della campagna elettorale in vista del voto anticipato del prossimo primo novembre.

Una delegazione composta dai due ministri di Hdp, Ali Haydar Konca e Muslum Dogan, che hanno cercato di raggiungere la città di Cizre nel Kurdistan turco, dove vige il coprifuoco e decine sono stati i morti degli ultimi giorni, è stata fermata dalla polizia a Mardin.

93 sarebbero gli ultra-nazionalisti arrestati in seguito agli attacchi anti-kurdi di queste ore. Ma non si sono fermate neppure le marce contro il quotidiano Hurriyet da parte di sostenitori di Erdogan. Il giornale è accusato di fare da megafono delle richieste della sinistra filo-kurda. Il premier in pectore Ahmet Davutoglu ha invitato i turchi alla calma confermando però che le operazioni militari contro il Pkk continueranno «con determinazione». «Non permetteremo che fratelli si uccidano tra di loro», ha aggiunto Davutoglu.

Ma Erdogan non sembra voler placare gli animi e punta sullo scontro in funzione elettorale per raccogliere i voti dei nazionalisti turchi e kurdi. Da Akp arrivano commenti incendiari contro il partito di Demirtas, descritto come una mera estensione del Pkk. Negli ultimi tre giorni sono andati avanti attacchi reciproci che hanno coinvolto polizia e militari, da una parte, che avrebbero ucciso almeno sessanta tra militanti del partito di Ocalan e cittadini comuni e, dall’altra, combattenti kurdi che in due diverse esplosioni hanno causato 31 vittime tra le forze di sicurezza turche nelle province di Hakkari e al confine con l’Iraq. Il conflitto si è inasprito con l’incursione di terra, effettuato da alcuni alti ufficiali turchi, per colpire le basi del Pkk nelle montagne irachene.

Ieri Erdogan e l’ex presidente Abdullah Gul hanno preso parte ai funerali di due delle vittime tra le forze di sicurezza ad Ankara. Cerimonie simili si sono svolte nelle province di Kirikkale, Samsun, sul mar Nero, e ad Adana.

Il leader kemalista Kilicdaroglu, il cui partito Chp si è rifiutato di prendere parte al governo elettorale in polemica con il fallimento dei colloqui per la formazione del governo di coalizione dopo il risultato del 7 giugno che ha permesso a Hdp di entrare in parlamento. «La società turca sta attraversando un duro esame per la pacifica convivenza», ha ammesso il leader del secondo partito turco. Kilicdaroglu ha anche difeso la libertà di stampa dopo i recenti attacchi ai giornalisti critici da parte di Akp, inclusa l’espulsione decisa per la giornalista olandese che viveva Diyarbakir da anni, Frederike Geerdink.

Sul fronte dell’aumento del flusso di migranti dalla Siria che raggiungono la Turchia a causa della guerra civile in Siria, il premier Davutoglu ha ricordato il ruolo turco nel frenare il flusso di migranti diretti verso l’Europa. Il governo turco ha chiesto all’Unione europea di cambiare radicalmente la sua politica e assumersi la «propria parte degli oneri» nella gestione della crisi. Nei giorni scorsi l’immagine di un bambino kurdo siriano, Aylan Kurdi, annegato nel tentativo di attraversare il breve tratto di mare tra Bodrum e Kos, in Grecia, aveva fatto il giro del mondo innescando la reazione di alcuni leader europei mentre restano chiuse per i profughi siriani le frontiere di quasi tutti i paesi arabi.
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