Il corpo femminile – in una declinazione plurale di esperienze vissute, da vivere, da immaginare in età diverse, esplorato da cineaste appartenenti a generazioni e storie personali, intime, differenti, registe che mettono in campo frammenti di se stesse da ri-comporre aggregandoli e al tempo stesso nuovamente dis-perdendoli nello spazio e nel tempo di testi filmici di luminosa soggettività – è un elemento/argomento che ha attraversato il programma di Filmmaker Festival di Milano (che termina questa sera). Anche la giornata conclusiva è nel segno di opere che pongono in primo piano la relazione di autrici con il proprio corpo, come si era già notato in altri film, a partire dal folgorante Annalucia di Lea Binarelli.

IERI – nella sezione Prospettive – è stato proiettato un altro lavoro che interroga il corpo (e la mente), fin dal titolo espressione di un dolore con il quale confrontarsi, Tutto il mio corpo è stanco di Giulia Visco Gilardi, prodotto dalla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano. Visco Gilardi, nata nel 1997, ha fatto tutto: regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio, suono. Si può «leggere» questo breve film di nove minuti come un «controcampo» a Annalucia. Là dove Binarelli «bagna» le sue immagini di luce radiante e estiva narrando un corpo che si lib(e)ra nell’acqua, Visco Gilardi ricorre al bianconero, a un unico interno (come unico era l’esterno di Annalucia), il bagno di una casa dove una donna, accanto alla vasca, brucia una pila di fotografie, sempre la stessa fotografia, in un gesto ripetitivo, ossessivo, ma calmo, mentre fuori campo la sua voce dice delle frasi solo a tratti comprensibili perché le parole si sovrappongono, come fossero più voci a parlare. Per un discorso, un «dialogo» con se stessa, sulla depressione che l’ha colpita e con cui fare i conti. In un piano sequenza cui ne seguirà un secondo a chiudere un esperimento filmico che opera sul corpo, frammenti di esso, sul suono come elemento di rilievo, sull’immagine fisica e fantasma di un corpo.Un’opera dal sapore punk dove inserisce una performance di Silvia Calderoni

OGGI SARÀ la volta di due cineaste affermate, Claire Simon e Monica Stambrini, entrambe in sala a introdurre i loro film. Della prima (alla quale Filmmaker dedicò nel 2008 la prima retrospettiva italiana) si vedrà Notre corps, girato nel reparto di ginecologia dell’ospedale parigino Tenon. E il corpo è centrale nel cinema di Stambrini, dal suo lungometraggio d’esordio Benzina (2002) al progetto collettivo Le Ragazze del Porno (nato nel 2014), fino a Chutzpah – Qualcosa sul pudore (film di chiusura del festival). Costruito assemblando immagini filmate dalla regista nel corso di dieci anni e in formati vari, Chutzpah (la parola è di origine ebraica e significa «spudoratezza») è un viaggio in prima persona aperto alla riflessione e all’ascolto.

MA CHE NON VUOLE chiudersi su se stesso, invece porsi domande su famiglia, figli, (essere) genitori, relazioni sociali e sessuali, senso del ricorrere alla psicoterapia, separazioni e loro conseguenze, e chiedere e chiedersi – in particolare in tempi di proliferazione di mezzi audiovisivi che «facilitano» il filmare – dove stia il limite di ciò che si può riprendere e diffondere, utilizzando materiali a volte all’insaputa delle persone coinvolte. Stambrini esplora il proprio corpo, anche in momenti di estrema intimità, si filma senza sosta, incalza se stessa e i genitori che si separarono quando era piccola, guarda a immagini del suo passato per avanzare in-stabile nel suo presente.

Fa un’opera di sapore punk, inserisce un frammento di performance di Silvia Calderoni, ricorre a una magnifica colonna sonora.