Dopo una settimana di passione forse la Moldavia è al suo decisivo giro di boa. Le elezioni dello scorso febbraio non erano riuscite a risolvere il dilemma della coabitazione tra il presidente Igor Dodon, socialiste e moderatamente filo-russo e la maggioranza parlamentare composta da partiti filo-occidentali. Questi ultimi ancora una volta erano riusciti a ottenere la maggioranza dei seggi ma sono apparsi fin da subito divisi. Il corrotto e discreditato partito democratico guidato dall’uomo più ricco del paese, l’oligarca Vladimir Plahotniuc, grazie alla quota dei seggi uninominali era riuscito a restare il secondo partito del paese e avrebbe inteso allearsi con Now Platform, la nuova formazione liberal-populista emersa come grande vincitrice del voto. Tuttavia sin da subito Maia Sandu, la leader di Now Platform, ha messo in chiaro «la priorità della questione morale» isolando il partito democratico e cercando un accordo – seppur temporaneo – con i socialisti rimasti comunque il partito di maggioranza relativa. Intesa difficile viste le distanze tra le due formazioni sia in tema di politica estera che di quella economica che però giungeva il 7 giugno. Il giorno successivo il partito democratico sosteneva che l’accordo era giunto fuori dai tempi di legge e annunciava nuove elezioni per il 7 settembre, il presidente della corte costituzionale lo appoggiava e anche la polizia dava il suggello a quello che è subito sembrato un «golpe bianco». Non di questa opinione però la maggioranza del parlamento che non si scioglieva e continua a lavorare: una situazione di doppio potere da manuale.

Ma mentre la Russia decideva per una posizione di stand-by temendo che dietro l’accordo tra socialisti e populisti potesse esserci uno spostamento geopolitico netto del paese verso la Ue, la sorpresa giungeva proprio dall’Europa. «Germania, Regno Unito, Polonia, Francia e Svezia hanno seguito con grande attenzione i recenti eventi nella Repubblica moldava. Dopo le elezioni parlamentari, la maggioranza parlamentare eletta democraticamente ha preso importanti decisioni, inclusa la formazione del governo. Nel contesto dell’attuale crisi costituzionale, supportiamo il Parlamento della Moldavia come legittimo rappresentante» sosteneva una dichiarazione diffusa a Bruxelles. Dopo poche ore arrivava anche un tormentato sì russo e perfino la benedizione americana.

Per Plahotniuc era la fine. Il 13 giugno il nuovo ministro delle finanze Vadim Brynzan denunciava il tentativo dell’oligarca di svuotare le già misere casse statali. «Stiamo assistendo a un massiccio ritiro di liquidità verso società offshore, e presto effettueremo controlli approfonditi nelle aziende di proprietà statale al fine di rilevare altre violazioni», dichiarava il ministro.

Ieri infine la resa del partito democratico in parlamento mentre Plahotniuc prendeva la via dell’esilio assieme ai suoi più stretti collaboratori utilizzando alcuni jet privati. Destinazione Odessa, in quell’Ucraina unico paese a sostenerlo in funzione anti-russa nei giorni della crisi.

La situazione del paese rimane comunque drammatica. Con un reddito pro capite sotto i 2.000 dollari annui, la maggioranza della popolazione attiva emigrata in occidente e una economia interna ridotta all’agricoltura e la produzione vinicola, il nuovo governo ha davanti a sé sicuramente altri periodi tormenti.