Si era parlato per mesi di «Modi Wave» e alla fine l’ondata è arrivata, implacabile, in quasi tutto il paese. La conta dei voti ha confermato le previsioni più rosee per la coalizione National Democratic Alliance (Nda) guidata dal partito conservatore hindu Bharatiya Janata Party (Bjp): Narendra Modi – manca solo la formalità del giuramento, prevista per la prossima settimana – è il nuovo primo ministro della Repubblica indiana. L’Indian National Congress della dinastia Nehru-Gandhi ne esce tragicamente ridimensionato, una sconfitta su tutta la linea che brucerà a lungo e dovrebbe imporre un profondo ricambio nei quadri del partito a partire da Rahul Gandhi, portabandiera del Congress in questa disastrosa campagna elettorale.

La Nda si aggiudica un risultato inedito nella storia indiana: oltre 340 seggi in parlamento, 283 contando solamente quelli del Bjp, la più grande vittoria di sempre per la destra indiana. Significa avere una maggioranza granitica (la soglia è 273), scongiurando la minaccia di governare sotto ricatto di partiti regionali come l’Aiadmk di Jayalalithaa, che nel solo Tamil Nadu ha vinto 37 seggi, o il Trinamool di Mamata Banerjee, 34 seggi in Bengala Occidentale.

La sconfitta subita dall’Inc di Rahul Gandhi è andata oltre ogni aspettativa: il partito dell’Indipendenza, al governo per due mandati consecutivi, è stato strapazzato da NaMo, assicurandosi solamente 45 seggi a livello nazionale, minimo storico dalla fondazione del partito. Non sono nemmeno abbastanza per candidarsi alla guida dell’opposizione.

Si tratta di una bocciatura su tutta la linea che ha fatto emergere, da un lato, la voglia di cambiamento del paese; dall’altro, il totale fallimento della campagna elettorale dell’Inc. In una conferenza stampa striminzita, Rahul e la madre Sonia – presidentessa dell’Inc – hanno augurato buon lavoro al nuovo governo, assumendosi la responsabilità personale del disastro. Non hanno accettato nessuna domanda dai giornalisti.

Tutt’altro il clima davanti alla sede nazionale del Bjp a New Delhi: una discreta folla – un migliaio di persone, era giorno lavorativo – si è radunata a festeggiare in un tripudio di fiori di zafferano (colore simbolo del Bjp), tamburi, danze e slogan. Nel primo pomeriggio di ieri sono passati a galvanizzare i sostenitori, tra gli altri, il lugubre Amit Shah, braccio destro di Modi in Gujarat, e Rajnath Singh, presidente del Bjp. L’uomo che ha rivoltato il paese, invece, ha preferito tenere il suo discorso da vincitore davanti a una marea adorante a Vadodara, nel «suo» Gujarat, dove il Bjp ha conquistato tutti i seggi disponibili (26). Modi, dopo aver visitato la madre ricevendo la sua benedizione, si è complimentato col popolo gujarati per aver guidato la risalita del Bjp, annunciando che in futuro «verranno giorni felici».

L’India, salvo gli stati meridionali di Tamil Nadu e Kerala, è oggi quasi interamente color zafferano: il Bjp ha travolto sia l’Inc sia i partiti regionali in Uttar Pradesh (71 seggi su 80), a New Delhi (sette seggi su sette), e nel resto degli “stati che contano”. Secondo le statistiche dell’Election Commission indiana, un indiano su tre in queste elezioni del 2014 ha votato per il Bjp, e ora ci saranno molte valutazioni da fare circa l’appeal che la personalizzazione dello scontro voluta da Narendra Modi ha generato nell’elettorato storicamente avverso al partito di destra: dati alla mano, il fiore di loto (simbolo del Bjp) non è più il partito delle élite e dell’estremismo hindu, ma grazie ad un lavoro maniacale portato avanti sui mass media e sul campo sin dal dicembre 2013, ha saputo vincere il favore dell’India rurale, delle caste basse, delle minoranze etniche e religiose, un tempo roccaforti del partito secolare per eccellenza, l’Inc.

La rivoluzione della società civile minacciata dall’Aam Aadmi Party (Aap) di Arvind Kejriwal, reduce da un inaspettato successo alle locali di New Delhi lo scorso anno, si è rivelata un clamoroso buco nell’acqua: quattro seggi a livello nazionale, spariti dai media e dall’immaginario collettivo.
Se Modi sarà davvero «il primo ministro di tutti» lo scopriremo presto. Intanto, nella democrazia più vasta del mondo, si apre una nuova era.