Altro giro in Lega Pro, altro fallimento. Questa volta, come previsto e documentato da quotidiani e tv, a saltare per aria è il Modena, 105 anni di storia cancellati con il gomito per quattro stipendi non pagati ai calciatori: servivano 500 mila euro sull’unghia per evitare il collasso finanziario, invece quattro partite non giocate per lo sciopero degli atleti, consigliato dall’Assocalciatori, l’ultima contro il Santarcanrgelo.

Radiazione, come prevede il regolamento. Un’agonia che ha lasciato tracce per settimane. E un epilogo triste. Ovviamente, le radici del fallimento del Modena sono profonde. Vanno ben oltre l’ormai cronica incapacità gestionale dei club nelle categorie inferiori. E anche il sovraffollamento in Lega Pro, nel 2017/2018 tre gironi, quello meridionale a 18 squadre.
È il sistema, che consente operazioni finanziate ardite anche nella scalata cinese al Milan con Fassone poi corre alla Uefa per sottoporre un business plan per evitare le sanzioni del Fai Play Finanziario, che perde pezzi. E perde anche club gloriosi.

Come il Siena, che ha avuto una storia significativa nell’ultimo decennio in Serie A. Oppure il Como. L’elenco dei club che hanno affrontato il disastro del fallimento conta venti società negli ultimi cinque anni. La media è preoccupante e non ci sono i segnali dell’inversione di marcia. La Lega e i suoi mancati controlli si prende il ruolo principale tra i colpevoli della sindrome da fallimento.

Sul Modena, per esempio incombevano nubi nere da cinque anni, con il presidente Antonio Caliendo, storico procuratore di Roberto Baggio, uno dei primi agenti di potere nel calcio italiano, che entrava nella società emiliana sette anni fa come consulente, nonostante il club fosse praticamente suo, la sua società romana ACGF deteneva le quote del club.
Tre anni dopo Caliendo era ufficialmente il patron del Modena, la maggioranza delle azioni finivano alla holding lussemburghese World Promotion Company, di cui Caliendo era amministratore, controllata a sua volta da una società con sede alle Isole Vergini. Un paradiso fiscale, per intenderci.

Nessuno ha messo in dubbio questo gioco di scatole cinesi. Le ultime vicende sono conosciute: Caliendo che accumulava fino a cinque milioni di euro di debiti, oltre a impoverire il valore e la qualità della squadra. E poche obiezioni dai palazzi della Lega sono arrivate quando Caliendo scaricava la patata bollente – lo scorso ottobre, dopo le prime due partite non disputate – all’ex presidente del Varese Aldo Taddeo, che aveva riempito i quotidiani di parole ma non la cassa societaria con pacchi di euro. Quindi, stipendi non pagati per calciatori, staff, dipendenti e un calcio verso la radiazione, verso il fallimento.