Nella catastrofe del 4 marzo il centrosinistra aveva una sola eccezione, un fiore all’occhiello, un solo faro illuminante per risorgere dalle ceneri del renzismo, un esempio da imitare fin da subito, ricominciando da Roma dove tra un paio di mesi si torna alle urne in due municipi, ciascuno grande quanto una città media italiana. Aveva. Perché da ieri il “modello Zingaretti” – una coalizione con poco centro e molta sinistra, con Grasso dentro e Lorenzin fuori, che ha permesso la rielezione del presidente dem della Regione Lazio e lo ha lanciato pure verso le primarie del Pd – è sull’orlo del precipizio. Liberi e Uguali infatti non ha retto alle prime battute del governo bis di centrosinistra, ha sbattuto la porta e si è sfilata dalla giunta che Nicola Zingaretti ha riunito ieri per la prima volta.

IN REALTÀ LEU in giunta non è mai entrata, perché l’accordo che prevedeva un assessore in quota ai grassiani si è incagliato subito sul nome. Per giorni, infatti, i mal di pancia interni hanno paralizzato la lista di sinistra, con un braccio di ferro – a livello locale – tra Mdp e Sinistra italiana, risolto infine lunedì con la presentazione di una «rosa» di nomi che rilanciava la palla della scelta al governatore dem.

«Una ristrettissima rosa di nomi espressione del pluralismo del movimento», l’hanno chiamata in una nota Angelo Fredda e Piero Latino, i coordinatori di LeU Lazio che si sono presentati da Zingaretti con due nomi e una rassicurazione: piena libertà per il presidente della Regione di scegliere tra Piero Latino, coordinatore di Mdp a Roma, e Paolo Cento, dirigente di Si. Qualunque fosse stata la scelta, nessuno avrebbe protestato.

Il governatore però si è sottratto al compito e ha tirato dritto per la sua strada come un treno. Ieri ha riunito per la prima volta la giunta, ormai quasi al completo: venerdì infatti aveva nominato tutti gli assessori (perfino quello alla Sanità, il primo dopo dieci anni di commissariamento) tranne quello al Lavoro, unica delega lasciata in sospeso.

Una casella che formalmente avrebbe dovuto essere riempita da LeU ma sulla quale si sovrappone perfettamente la figura del reatino Claudio Di Berardino, l’ex segretario della Cgil Roma che era nei desiderata di Zingaretti, ma non in quelli di LeU Lazio. Eppure a proporre il suo nome è stato ieri proprio l’unico consigliere regionale eletto di Liberi e Uguali, Daniele Ognibene, che così facendo (più in linea con la dirigenza nazionale) ha dato una bella mano al presidente dem, già particolarmente preoccupato da un consiglio regionale dove può contare solo sulla minoranza dei consiglieri (24 contro i 26 di M5S, centrodestra più Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, provincia di Rieti).

UNA RICOSTRUZIONE, questa, confermata da più testimoni ma che naturalmente viene smentita ufficialmente dai grassiani del Lazio. «Sono prive di ogni fondamento le ricostruzioni di una contrapposizione tra i soggetti promotori di LeU, Art.1-Mdp e SI, che al contrario hanno lavorato da subito per una soluzione condivisa», si legge nella nota dei coordinatori della lista che spiegano come senza gli 88 mila voti incassati alle regionali del 4 marzo, Zingaretti non avrebbe potuto superare di 54 mila preferenze il suo sfidante Parisi.

Ma l’esponente dem viene accusato di aver «strutturato la Giunta senza coinvolgere nella discussione» la coalizione, e di aver comunicato «solo a mezzo stampa» agli alleati «la composizione della struttura di governo nonché la delega che ci era stata attribuita». «È per questa ragione che al Presidente abbiamo detto con chiarezza che al di fuori di quella rosa di nomi LeU non sarebbe stata rappresentata – spiegano nella nota Fredda e Latino -. Il Consigliere Ognibene ha avanzato una proposta a titolo personale che, seppur legittima, non può essere messa sullo stesso piano politico di quella formalizzata ufficialmente a Zingaretti da LeU Lazio. Purtroppo – è la conclusione – preso atto della mancata risposta di Zingaretti alla nostra proposta, LeU Lazio ritiene che non ci siano le condizioni politiche per la partecipazione alla giunta regionale».

MA COSA VUOL DIRE concretamente dal punto di vista del governo del Lazio? Non molto, sembrerebbe. Perché se questa linea verrà confermata nei prossimi giorni – la pausa di riflessione si protrarrà probabilmente fino a dopo Pasqua – LeU uscirà dalla giunta senza però intaccare minimamente i rapporti di forza in via della Pisana. Qualunque cosa faccia il consigliere Ognibene, che in ogni modo ha già fatto sapere di non avere alcuna intenzione di attenuare il proprio sostegno a Zingaretti né tanto meno di uscire dall’«Alleanza del fare con cui abbiamo vinto le elezioni».

Nel frattempo il governatore dem invita ad «una sintesi» gli alleati. Ma loro insistono: «Aveva e ha il dovere di curare il rapporto con chi gli ha permesso di vincere», dice Paolo Cento. Se vuole ricomporre la coalizione, Zingaretti sa che dovrà dunque rimettere mano alle deleghe.