Con poco senso del pudore diplomatico, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi è stato immortalato ieri mentre, durante la visita ufficiale al Grand Egyptian Museum di Giza e poi al laboratorio di restauro dei sarcofagi del faraone Tutankhamon in piazza Tahrir fotografa un delicatissimo reperto con il telefonino tra i volti imbarazzati e persino infastiditi degli accompagnatori.

Moavero è in Egitto da un paio di giorni ed è, la sua, la prima visita ufficiale di un capo della diplomazia italiana da due anni e mezzo a questa parte, cioè da dopo il delitto Regeni. Non è andato a parlare del caso del giovane ricercatore italiano barbaramente torturato e ucciso al Cairo all’inizio del 2016, ma di affari e di Libia, anche se non ha potuto fare a meno di parlarne.

A porte chiuse, domenica, Moavero ha incontrato il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi e al termine del colloquio il portavoce di al Sisi ha «confermato l’interesse dell’Egitto a scoprire le circostanze dietro l’uccisione di Regeni e la sua disponibilità a continuare la piena cooperazione in modo trasparente attraverso le autorità competenti» per individuare gli autori dell’omicidio e condannarli. Moavero di parte sua ha elogiato la «cooperazione trasparente positiva» tra autorità egiziane e italiane per risolvere il caso. Non si sa se piangere o ridere di fronte a queste parole, visti i continui omissis, le registrazioni lacunose e tardive concesse dagli inquirenti italiani dalle autorità egiziane, ma ancor di più visti i partecipanti all’incontro domenicale a porte chiuse.

Oltre a Moavero e al Sisi – ne dà notizia l’Agenzia Nova – erano presenti il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, con cui il titolare della Farnesina aveva già affrontato i dossier che contano per i due – Libia e interscambio bilateriale – , e nientemeno che il capo dei Servizi segreti egiziani, che è ora quell’Abbas Kamel indicato da alcuni testimoni come uno dei responsabili della fine fatta da Giulio Regeni, in particolare come colui che, allora capo di gabinetto di Al Sisi, avrebbe dato Giulio, appena arrestato, in pasto ai servizi segreti militari.

Come non ricordare del resto le parole con cui il vicepremier leghista, appena nominato e quindi ben prima della sua visita al Cairo del 18 luglio scorso, chiarì che più che della verità su Regeni contavano «i rapporti con l’Egitto». Questi rapporti riguardano, oltre agli investimenti Eni, la complessa partita libica, nella quale l’Italia del governo gialloverde ha finora commesso alcune frettolose forzature nel tentativo di spodestare l’influenza francese a fronte del super attivismo diplomatico di Emmanuel Macron.

A Washington il premier Giuseppe Conte solo una settimana fa ha chiesto e ottenuto dal presidente Donald Trump una «camera di regia» comune sulla Libia e lo sdoganamento dell’iniziativa italiana nel convocare in autunno la conferenza internazionale sulla ex «quarta sponda» già richiesta dall’inviato speciale Onu Ghassem Salamé. Come scrive anche la rivista del centro studi Affari Internazionali l’appoggio di Trump a una leadership italiana in Libia «potrebbe pesare poco o nulla» visto lo scarso interesse statunitense per il Paese. Nel contempo lo strenuo appoggio di Roma al governo di Tripoli e al suo premier Fayez al Sarraj – al quale sono interstate anche le 12 motovedette che il governo Conte intende «regalare» alla Guardia costiera per i respingimenti di migranti – rischia di essere un boomerang.

Il portavoce del malandato generale Kalifa Belqasim Haftar – rivale di Serraj e con legami stretti con Francia, Egitto e Russia – il generale Ahmed al Mismari, ha rilasciato una lunga intervista pochi giorni fa all’Agenzia Nova nella quale pur riconoscendo «l’indispensabile apporto dell’Italia in Libia» definisce «inaccettabile» lo sbilanciamento italiano verso Tripoli e le milizie di Misurata. L’altro ieri l’ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Perrone, in una lunga intervista in arabo alla tv Libya’s channel è stato ripetutamente incalzato di domande sull’ostilità italiana verso la proposta francese di andare alle elezioni già il prossimo 10 dicembre.

Tra una piramide e l’altra Moavero ha cercato ora la spoda di al Sisi, sacrificando forse l’ultimo brandello di verità strappabile su Regeni.