Martedì, persino il recalcitrante Vincenzo De Luca aveva accettato di mescolare i vaccini AstraZeneca e Pfizer in chi ha meno di sessant’anni. Ma la pace tra le regioni e il governo sui vaccini è durata solo una notte. A riaprire la questione ci ha pensato l’assessore alla sanità del Lazio Alessio D’Amato, che ieri ha chiesto di lasciare ai vaccinandi la scelta di ricevere un vaccino AstraZeneca anche per il richiamo.

Lo ha fatto con un intervento sul Foglio e con un quesito formale inviato al governo su richiesta di diversi cittadini che «in maniera consapevole e informata chiedono di completare il percorso vaccinale per l’immunizzazione con il medesimo vaccino, ovvero AstraZeneca».

Anche Federfarma ha chiesto un analogo parere sul vaccino monodose Johnson & Johnson: migliaia di under 60 attendono di essere vaccinati in farmacia con l’altro adenovirale.

In effetti, dalla regione arrivano molte segnalazioni di persone disposte ad assumersi il rischio remoto delle trombosi pur di completare la procedura in tempi brevi e con un vaccino già sperimentato. E, spiegano dietro anonimato i medici vaccinatori, in alcuni casi è già stato fatto nonostante lo stop del governo.

NEL LAZIO SI TRATTA di pochissimi casi, quelli che hanno indotto D’Amato a sollevare la questione presso il governo. In altre regioni sono anche di più. Secondo gli open data del governo, dopo l’autorizzazione del mix vaccinale, oltre mille persone sotto i 60 anni hanno ricevuto una seconda dose AstraZeneca. Sono state circa trecento nella sola Campania, la regione più tardiva nell’allineamento. La stima di D’Amato è che rappresentino il 10% dei vaccinati con una dose AstraZeneca.

Se «il cittadino consapevole vuole completare il percorso con il medesimo farmaco ha il diritto di poterlo richiedere, come di recente ha dichiarato anche il padre della farmacologia italiana Silvio Garattini», scrive D’Amato sul Foglio.

L’assessore non vuole apparire come un “ribelle” alla De Luca: «Non c’è alcuna contrapposizione – spiega in una nota – tra la decisione assunta dal Ministero della Salute e la Regione» e ricorda che già oltre 8 mila persone nel Lazio hanno ricevuto il mix. Ma è consapevole di tenere una posizione ambigua. Invita a evitare «il solito balletto di responsabilità tra stato centrale e organizzazioni territoriali» e a «fare squadra».

Però chiede di derogare alle indicazioni che arrivano dal governo, che dal canto suo aveva chiesto di rendere «quanto più possibile l’approccio alla vaccinazione omogeneo sul territorio nazionale». Difende la libera scelta dei cittadini – «chi consapevolmente informato desidera completare il percorso terapeutico con AstraZeneca deve poterlo fare senza scaricare le responsabilità sul medico» – ma poi esorta «Decida chi cura».

D’Amato infine rivendica la strategia di lasciare ai cittadini la libertà di scegliersi il vaccino: «Siamo stati attaccati ma ritengo che sia stata la scelta giusta visti i risultati raggiunti».

MA SE ORA LA REGIONE chiede lumi al governo centrale, è anche per colpa di quella scelta. Molti giovani, potendo scegliere, hanno approfittato degli open day per vaccinarsi entro l’estate, per ragioni di lavoro o di vacanza.

Così nel Lazio oltre il 50% delle vaccinazioni AstraZeneca e quasi il 90% di quelle Johnson & Johnson sono andate a chi ha meno di 60 anni, in violazione delle indicazioni dell’Agenzia del Farmaco che dall’8 aprile prescrive di utilizzare preferibilmente le dosi a Rna in queste fasce di età.

La corsa al vaccino ha gonfiato i numeri del Lazio, diventato un modello di efficienza, e ora gli si ritorce contro. Circa 235 mila persone nella regione, più che in tutte le altre regioni italiane, attendono un vaccino a Rna dopo la prima dose AstraZeneca. Inoltre, gli open day riservati ai 12-16 anni del prossimo fine settimana sono già sold out. Questa nuova platea ha già esaurito la scorta di Pfizer e Moderna e non è detto che i rifornimenti straordinari promessi da Figliuolo bastino a riempire i buchi.

L’OBIETTIVO di far marciare all’unisono le regioni appare irraggiungibile ed è forse il fallimento principale del generale, nonostante il suo pellegrinaggio di hub in hub. E la confusione non facilita la comunicazione, decisiva per la riuscita della campagna quanto l’immunologia. Nella provincia di Caserta, ad esempio, rimangono solo ventimila persone prenotate.

Per vaccinarle basteranno un paio di giorni, dopo i quali la macchina si fermerà per mancanza di vaccinandi. Se non si riuscirà a convincere altre persone usando canali diversi da quelli telematici, solo la metà della popolazione risulterà immunizzata. Una percentuale troppo bassa per scongiurare nuove ondate.