Mittelfest compie trent’anni, e si è aperto ieri, spinto dalla pandemia a cavallo tra agosto e settembre dalla abituale metà luglio. Il titolo della rassegna scelto quest’anno è Eredi. Sono diversi i tempi ovviamente, da quando all’indomani della caduta del Muro e in una Europa incerta tra i cambiamenti, Giorgio Pressburger, italiano e ungherese, teatrante e scrittore, si battè e ottenne un appuntamento annuale tra intellettuali e artisti di quella che era stata la Mitteleuropa. E ottenne un grande successo quell’incontro nelle strade dell’antica città longobarda di Cividale. In quei primi, eroici anni si incontravano per le stradine, nei caffè e nei teatri molti intellettuali di spicco, da George Tabori a Claudio Magris, Jiri Menzel, Ivan Cirilov, Tamas Asher, e poi Nekrosius, Pina Bausch e Barishnikov. Una volta qualcuno disse perfino di aver visto sgusciare anche il sempre “clandestino” Peter Handke…. Da allora, in tre soli decenni, anche questo quadrante d’Europa è cambiato, con le sue incertezze di prospettiva e i suoi sbandamenti populisti. E la sua scena non può che esprimere quelle contraddizioni, anche se spesso dissimulate dalle migliori intenzioni.

Anche a Cividale diverse direzioni si sono succedute, dopo quella fondatrice di Pressburger: alcune più “schierate” sul versante musicale (un nome per tutti Carlo de Incontrera), altre espressione di schieramenti più prettamente locali. Da quest’anno nuovo direttore è Giacomo Pedini, giovane docente di teatro finora più interessato alla drammaturgia e alla elaborazione dei testi che non alla messa in scena. E lui, per cercare una immagine distintiva forte, ha chiamato ad inaugurare ieri la manifestazione Stefan Kaegi, esponente di punta dei Rimini Protokoll, il gruppo berlinese che da anni usa il teatro, e le sue forme, per indagare come vivano e pensino e operino le realtà più svariate del pianeta. Anche se il  punto di osservazione, e di risposta, dei Rimini Protokoll rimane quello dell’intellettuale europeo, avvertito e curioso, per quanto consapevole della propria mission civile. 

Altre volte ci hanno raccontato un paese, o una situazione particolarmente delicata, sempre con un linguaggio spettacolare, per quanto rivelatore: la loro prima apparizione italiana, raccontava la Svizzera, invitando gli spettatori su un palcoscenico disseminato di trenini elettrici sferraglianti tra montagne, gallerie e laghetti alpini. E più recentemente hanno raccontato le contraddizioni cubane attraverso i rapporti di parentela, di sentimenti e di danza. O a suo tempo, i rapporti sempre “coloniali” dell’Europa, attraverso le confessioni di una ragazza asiatica adottata da una famiglia nel cuore della Germania.

Stavolta rovesciano la prospettiva, convocando una trentina di spettatori (al mattino e al pomeriggio, con “repliche” per tutta la settimana) ad una sorta di escursione/esplorazione della città del festival: Remote Cividale. Scarpe comode e buona volontà, appuntamento al cimitero per qualche considerazione, tra lapidi e immagini che valgono qualche riflessione, e qualche osservazione materiale sull’erba che si calpesta e che porta fuori della città dei morti.

Per attraversare poi quella agricola della natura , e attraverso la sua lavorazione passare a quella industriale. Magari “giocando”, perché guidati da una voce in  cuffia, gli spettatori si fanno protagonisti, gareggiano e corrono e si dispongono in posizioni diverse, mentre toccano della città, in apparente leggerezza, il centro commerciale, una storica chiesa, la piazza dei caffé con addirittura un giro di walzer attorno alla fontana, fino a un condominio storico dalle mura antiche e dalle molte scale. All’inizio parole e suggerimenti (dello stesso Kaegi, ma tradotti in italiano da una severa voce femminile) possono suonare un po’ troppo “seri”, se non autoritari. Ma via via i partecipanti mostrano di gradire quella condivisione, in una sorta di gioco di ruolo che li fa schierare e riconoscere in due gruppi, grazie ai messaggi appositamente sdoppiati nelle cuffie. Piccola lezione di civiltà urbana, e insieme scoperta delle facce diverse e contraddittorie di una piccola città, in cui riconoscersi o meno, in cui restare e partecipare o fuggire, sopravvivere o divertirsi.

Un “teatro” sociale, se non proprio politico, forse un po’ più “ideologico” di quello che conoscevamo dei Rimini Protokoll, ma che chiama più decisamente al coinvolgimento, interpersonale e fisico, prima ancora che intellettuale. Diverso dalle esperienze similari praticate anche in Italia, che finiscono di solito con la scoperta dei luoghi comuni, mentali e di quartiere…

L’altro spettacolo della giornata inaugurale, oltre a un concerto dedicato al Ponte del diavolo, uno dei passaggi obbligati di Cividale, dava un’altra foto, fascinosa quanto inquietante di questo “oriente” d’Europa. La coproduzione del teatroMetropol di Tirana con la salentina Koreja ha portato, Letra, ovvero la lettera che un povero disperato chiede a un maestro generoso di scrivergli,per ottenere una casa popolare.In quella dialettica si sviluppa una spirale di sentimenti che dovrebbe modellare anche quelli tra i popoli. Un tema particolarmente sensibile in questi giorni, che non mancherà occasione di rivedere in Italia.

Oggi a Mittelfest due nomi di richiamo: il coreografo Josef Nadj presenta in Mnemosyne una sorta di autoritratto dal vivo; in serata Lino Guanciale tenta di rimuovere il proprio ruolo di star delle fiction tv, con una lettura di Europeana, successione di flash del Novecento europeo scritta dal praghese Patrik Ourednik.