Contemperare il diritto alla salute con la tutela ambientale e l’occupazione. È, da sempre, l’obiettivo, il sogno per molti addetti ai lavori, per provare a riportare l’Ilva di Taranto in una situazione di pseudo normalità. Dopo 35 anni di gestione statale e 20 a guida Riva, dopo l’intervento della magistratura, le inchieste, gli arresti, un dibattimento che stenta ancora a decollare, decine di studi che da decenni dimostrano il devastante impatto sanitario su lavoratori e cittadini e sull’ambiente, sul quale quasi tutti hanno sempre taciuto, si è ancora impantanati lì. Sul come fare per evitare che il più grande siderurgico d’Europa chiuda i battenti, lasciando per strada oltre 20 mila lavoratori tra Taranto e il resto d’Italia, e nello stesso tempo riduca il più possibile il suo impatto ambientale. Un’impresa titanica, quasi impossibile.

Ad oggi, siamo ancora lì. E quando la cessione del gruppo Ilva alla cordata AmInvestCo Italy del colosso ArcelorMittal sembrava aver intrapreso la strada giusta, almeno per il governo viste le lunghe trattative sul piano industriale con i sindacati e in attesa che la commissione Antitrust dell’Ue esprima il suo assenso alla cessione (entro marzo 2018), ecco arrivare una novità proprio sul terreno dell’attuazione del piano ambientale presentato da ArcelorMittal e approvato il 30 settembre con un Dpcm dal governo.

A sbarrare la strada la Regione Puglia del governatore Michele Emiliano, e il comune di Taranto guidato da Rinaldo Melucci eletto la scorsa primavera proprio grazie all’appoggio del governatore. Entrambi nel Pd ma nell’area Fronte Dem fondato da Emiliano, hanno presentato ricorso al Tar di Lecce contro il piano ambientale, chiedendone l’annullamento e una sua revisione: affinché contempli le prescrizioni presentate dai due enti, in particolare il processo di decarbonizzazione su cui Emiliano punta per ridurre l’impatto ambientale dell’Ilva e della centrale Enel di Brindisi.

Un ricorso che per il ministro Calenda, qualora accolto, manderebbe all’aria il tavolo con ArcelorMittal comportando lo spegnimento dell’Ilva. Tesi contestata da Emiliano, che assicura che lo stop agli impianti non si verificherebbe, ma si tornerebbe semplicemente al piano ambientale approvato dal governo nel 2014. Il che è vero in parte, visto che il piano presentato da ArcelorMittal altro non è che una rivisitazione di quello approvato dall’esecutivo nel 2014.

Il governatore ha spiegato che non ha ancora capito perché il ministero dello Sviluppo economico preferì il piano di AmInvestCo, a quello della cordata AcciaItalia, capeggiata dal gruppo indiano Jindal «che indirizzava la fabbrica verso la decarbonizzazione e abbatteva da subito della metà le emissioni». Quel piano in realtà prevedeva la produzione di 10 milioni di tonnellate di acciaio annue, di cui 6 con l’altoforno, riducendo del 20% l’utilizzo di carbone grazie all’impiego di gas; gli altri 4 milioni sarebbero stati prodotti con forni elettrici caricati con il preridotto.

Diverso il piano di ArcelorMittal, che puntato sull’impiego di nuove tecnologie a bassa emissione di anidride carbonica, tra cui la cattura e l’utilizzo del carbonio e la produzione di acciaio a impatto ridotto. Prevedendo spese in conto capitale nel comparto ambientale superiori a 1,1 miliardi di euro, incluse le spese per bonifiche, al fine di conseguire performance ambientali ottimali in aree chiave, tra cui emissioni di aria e trattamento acque.