Forni che si spengono e politica dei due forni. A due giorni dall’udienza al tribunale civile di Milano, la vertenza ex Ilva è ancora tutta aperta con la via giudiziaria a dominare la giornata di ieri con la smentita di un accordo vicino fra Mittal e governo. Che nel frattempo lancia il suo decreto Taranto per dare un segnale alla città.
Da un fondo da 50 milioni per i lavoratori ex Ilva a sgravi al 100% per chi assumerà gli esuberi del polo siderurgico, anche all’esito di nuovi accordi a partire da gennaio 2020. È di 21 articoli la bozza del decreto Taranto che prevede la «riconversione produttiva» della città, un nuovo Sito di interesse nazionale che comprenda anche l’area di Statte e un nuovo commissario per la bonifica. Tra le misure anche la protezione dei cetacei e screening gratuiti, esenti anche dal ticket, per la diagnosi precoce di malattie legate all’inquinamento.
Ma a far rumore è soprattutto la memoria presentata da Mittal al tribunale civile di Milano a poche ore dalla scadenza prevista. Nel ricorso di urgenza presentato dai commissari governativi ex Ilva contro la richiesta della multinazionale di recedere dal contratto di acquisizione degli stabilimenti.
Nelle 57 pagine della memoria depositata da Mittal i toni usati sono tutt’altro che concilianti: «Rasenta la calunnia affermare che ArcelorMittal voglia “uccidere un proprio importante concorrente sul mercato europeo”, sabotandolo presso fornitori e clienti nonché privando il magazzino delle materie prime necessarie a condurre lo stabilimento». Secondo la multinazionale, il ricorso dei commissari contro la procedura di retrocessione dei rami d’azienda, è «intriso di considerazioni politiche e demagogiche». Ed ancora riferendosi allo scudo penale rimosso: non si può «indurre una società a effettuare un enorme investimento perché ha confidato su un’apposita norma di legge e poi cambiare le regole del gioco durante l’esecuzione del contratto». Dopo aver «investito 345 milioni di euro» e aver «dismesso rilevanti beni in conformità alle indicazioni della Commissione europea ed esattamente eseguito il contratto per oltre un anno», il gruppo franco-indiano sostiene di essersi trovato «in una situazione completamente diversa da quella concordata a causa di decisioni e condotte altalenanti e imprevedibili di autorità pubbliche e soggetti istituzionali». In più, «è vero che lo stabilimento Ilva è un bene di interesse strategico nazionale», «è altrettanto vero, però, che il rilievo strategico attribuito a uno stabilimento industriale non può essere strumentalizzato» per imporre a un investitore di «continuare a svolgere l’attività produttiva come se nulla fosse e di accettare assurdamente il rischio di responsabilità penali che erano state escluse al momento e proprio in funzione del suo investimento».
Nell’atto si parla anche dell’altoforno 2, ritenuto «vitale per l’impianto di Taranto» sostenendo che il suo spegnimento imporrebbe «di spegnere anche gli altri due altiforni attivi perché hanno caratteristiche tecniche analoghe». Peraltro, Mittal sottolinea che la magistratura penale ha stabilito «che l’omessa esecuzione delle prescrizioni non è imputabile» alla multinazionale ma «ad “anni di inadempimento colpevole” dei commissari dell’ex Ilva».
Come era stato largamente annunciato, invece a Taranto i commissari Ilva hanno presentato ricorso al Tribunale del riesame per tentare di scongiurare lo stop definitivo dell’Altoforno 2. Sulla vicenda di Afo2, si attende ora la fissazione dell’udienza da parte del Tribunale del riesame di Taranto. La prima data utile potrebbe essere il 30 dicembre. L’altra, il 7 gennaio 2020, sarebbe troppo ravvicinata all’ultima fase delle operazioni di spegnimento già avviate su disposizione del giudice Francesco Maccagnano, che ha respinto la proroga della facoltà d’uso.