«Via, via, lascia Cracovia, solo così potrai creare qualche cosa di importante». A parlare è Tadeusz Kantor e il consiglio è tutto per Igor Mitoraj, polacco come lui. Che non perse tempo e nel 1968 si mise in viaggio, destinazione Parigi (dove nel 1997 venne instalata una delle sue grandi teste alla Defense). È qui, in un ospedale della capitale francese che è morto ieri lo scultore, all’età di settant’anni. Mitoraj ha dalla sua una riconoscibilità immediata: è l’autore di quegli enormi volti svuotati (anche bendati), maschere dal sapore classicheggiante, che troviamo spesso adagiati nelle piazze italiane. Giganti feriti, sventurati, caduti giù dal cielo che sbozzerà tutta la vita in bronzo, terracotta e poi in marmo, quando si trasferirà – negli anni Ottanta – in Italia, a Pietrasanta aprendo uno studio vicino alle cave (senza però abbandonare l’atelier parigino). Lì l’eco di Michelangelo e del suo operare per «via di sottrazione» da interi blocchi di pietra era fortissimo.
Nato nel 1944 in Germania, sopravvisse con la madre (deportata dalla Polonia) ai bombardamenti di Dresda e una volta tornato nella sua città di origine, cominciò a studiare l’arte, affascinato dalle riproduzioni dei dipinti rinascimentali. Un anno di permanenza messicana lo avvicinerà alla cultura atzeca, ma poi tornerà ai miti classici, rivisitati con un senso di precarietà moderno: «la mia opera – diceva – è l’espressione artistica di un certo malessere». Più che alla frenetica New York, dove vivrà parecchi mesi, continuerà a guardare alla Grecia e alle sue radici antiche.
Fin dalle sue prime apparizioni nel mondo dell’arte, Mitoraj ha goduto del successo, ha esposto in importanti gallerie e conquistato molti premi. Nel 1986 è alla Biennale di Venezia, mentre le piazze pubbliche del mondo si popolano di sue sculture, eroi, centauri e dèi dai corpi possenti, ma frammentati, violati. Nel 2006 ha realizzato a Roma le porte monumentali della Basilica di santa Maria degli Angeli. Mitoraj passeggiava volentieri nella città dove l’uomo si è sempre confrontato con la divinità («Borges ha ragione quando dice che a Roma non si va mai per la prima volta, semmai ci si ritorna: Roma, come ogni mito, esiste da sempre, è fissa nell’immaginario collettivo…»).
Ad Agrigento, fin dalla primavera del 2011, nella Valle dei Templi, sono esposte all’aperto 17 gigantesche statue bronzee: non sempre le sue sculture hanno convissuto in pace con gli abitanti dei luoghi. A volte, sono state accusate di deturpare il territorio con la loro estraneità.