Da troppo tempo la mafia è scomparsa dal dibattito pubblico e, tranne per qualche flash dovuto alla recente modifica del 416 ter sul voto di scambio politico mafioso o al tormentone giudiziario di Palermo dove è in corso il processo sulla “trattativa”, sembra che se ne parli sommessamente solo nelle stanze dell’antimafia guidata da Rosy Bindi. Anche lì però non pare ci sia stata una riflessione critica su alcuni fatti riportati dalla cronaca e meritevoli di una qualche presa di posizione istituzionale data la loro dirompente ambiguità: l’antimafia ufficiale, insomma, ci capisce qualcosa?

Partiamo dalle gravi minacce di Riina al pm Di Matteo. Come già si è chiesto Adriano Sofri nella immediatezza del fatto, il carcere duro del 41 bis dovrebbe servire ad isolare i boss dal mondo esterno ma, nel nostro caso, il messaggio con queste minacce è stato divulgato da giornali e tv, anche con l’audio sottotitolato, forse per i non udenti. Così, da fonti presumibilmente istituzionali, il 41bis è stato palesemente eluso, dando a Riina un aiuto pubblicitario insperato, con annessa rilegittimazione del suo ruolo di capo. La guardasigilli Cancellieri ha disposto un’indagine e rapidamente ha concluso, come al solito, che non sono emerse responsabilità mentre Alfano, ministro dell’interno, ha proclamato l’intenzione di rendere ancora più duro il carcere duro, ma ora dovrebbe spiegare verso chi, dato che il contatto con il mondo esterno è stato assicurato a Riina non dai mafiosi ma quanti dovrebbero contrastarli.

Vi sono poi le strane dichiarazioni di un pentito dell’ultima ora, un parente dell’imprendibile Matteo Messina Denaro che, stanco di subire pressioni finanziarie da parte del boss al quale avrebbe dovuto dare ben 60mila euro e avrebbe dovuto procurargli, in tempi brevi e con urgenza, un 4 o 5 mila euro, si è scocciato e ha deciso di collaborare. Ripercorrendo le cronache di questi ultimi anni, si apprende che a Palermo sono stati sequestrati beni di 120 società per un valore di 1 miliardo e mezzo di euro, mentre nel trapanese, territorio di Messina Denaro, i sequestri ammontano a 3 miliardi e mezzo, beni in grandissima parte riconducibili allo stesso. Ora bisogna capire se il latitante sia un miliardario o se, avendo bisogno di 4 o 5 mila euro, sia uno dei tanti italiani che stentano ad arrivare a fine mese. Messina Denaro è una “sigla” (come Al Qaeda) della quale approfittano in molti, è un povero squattrinato o un super padrino che controlla gran parte dell’economia isolana?

E’ tornato sulla scena anche Di Carlo, un vecchio padrino pentito, che dopo vent’anni ricorda di essere stato contattato mentre era detenuto in un carcere di Londra, da uomini presumibilmente dei servizi i quali gli avrebbero chiesto un aiuto per far andare via Falcone da Palermo e, poco dopo, si sarebbe avuto l’episodio del fallito attentato dinamitardo dell’Addaura. Richiesto di spiegare il suo silenzio ventennale, si sarebbe giustificato dicendo che nessuno glielo aveva chiesto prima. Non si sa come poteva venire in mente a un qualsiasi investigatore l’idea che un Di Carlo, sebbene detenuto, fosse potente e ben inserito nei gangli istituzionali da influire sull’allontanamento di Falcone da Palermo.

Sarebbe anche l’ora di ripensare seriamente a tanti di questi ricordi estemporanei di molti pentiti, Brusca ed altri, che ben combaciano con notizie già ampiamente riportate dalla stampa e poi, decenni dopo, fatti propri con la motivazione che “solo ora”, in tempi più sicuri e favorevoli, si erano sentiti di confessare.

La lotta alla mafia dovrebbe essere fatta con più serietà e professionalità, dagli inquirenti ma anche dalla stampa che, Sofri a parte, riporta episodi simili senza un minimo di riflessione critica. La ricostruzione di un tessuto civile e democratico passa senza dubbio anche per la lotta alla mafia, ma la stessa va depurata da miti, veleni e falsità interessate e poi va intrecciata ad altre lotte che sono ineludibilmente complementari. Principalmente la lotta alla corruzione, il terreno di coltura delle mafie, il punto di raccordo tra l’affarismo, le istituzioni ad ogni livello, locale e nazionale, il mezzo di controllo e di soffocamento dell’economia di molte regioni.

Grazie al protagonismo politico del Ncd di Alfano, alle larghe intese ed al ritorno di Berlusconi in profonda sintonia con Renzi, nulla si è potuto fare, e nulla è pensabile che si farà, per modificare la scellerata legge Severino sulla corruzione che l’Ocse ha già stigmatizzato e che, sempre a leggere le cronache, sembra averla rilanciata, ben protetta dalla prescrizione più breve di quella anteriore alla modifica legislativa. Secondo l’Ocse, su 40 e più processi, la prescrizione ne avrebbe già falcidiati 30. L’Europa ci aveva chiesto una modifica legislativa ma per potenziare il contrasto alla corruzione e non per depotenziarlo.

Siamo al solito ritornello: è la politica che dovrebbe agire con maggior impegno nel contrasto alle mafie, ma i tempi presenti e l’esperienza passata ci insegnano che nulla accade se a governarci sono i soliti personaggi garanti di un sistema all’interno del quale il malaffare agisce da collante di interessi affaristici di ogni specie. Le mafie, tra larghe intese e profonde sintonie, ringraziano e prosperano.