È ben noto come su Tina, già negli anni in cui era in vita e poi nel periodo più recente, sono circolati molti miti e molte leggende. Risale alla fine degli anni ’20 la falsa immagine di Tina come ‘Mata Hari del Comintern’, che le forze della destra messicana agitarono per screditarla di fronte ad un’opinione pubblica ipocritamente moralista e avida di morboso sensazionalismo. Allo stesso modo, non meno fuorviante è l’immagine che ha ispirato il romanzo di Pino Cacucci, Tina, uscito nel 1991, e altre consimili iniziative espositive tanto inclini alle illazioni e alle ‘voci’ diffamatorie, quanto estranee alla deontologia che è tratto irrinunciabile della ricerca storica. In entrambi i casi la figura di Tina è stata presentata come una sorta di comunista suo malgrado, prigioniera e succube, se non complice, del suo compagno Vittorio Vidali, il quale a sua volta viene dipinto come una figura cinica, spietata e tenebrosa, tipica incarnazione di quell’‘Impero del male’ a cui si vorrebbe ridurre, secondo una moda corrente, l’intera storia del movimento comunista. Bisogna allora premettere che l’adesione di Tina al comunismo fu una scelta di vita convinta e appassionata anche se, come si vedrà in seguito, tutt’altro che priva di conflitti, acritica o fideistica, in altre parole fu una scelta sua, autonoma, senza la quale la sua personalità così ricca di umanità risulterebbe del tutto incomprensibile. (…)
Il Messico degli anni ’20, un paese in cui non si erano ancora spenti gli echi della rivoluzione di Pancho Villa e di Emiliano Zapata. La Rivoluzione messicana aveva rappresentato un movimento di riaffermazione dell’indipendenza nazionale nei confronti della pesantissima tutela da parte degli Stati Uniti e insieme il risveglio degli strati sociali più poveri delle campagne contro l’oligarchia latifondista, il potere dei militari e il tradizionalismo delle gerarchie ecclesiastiche. Sebbene negli anni ’20 le forze di governo avessero impresso un corso più moderato alla vita politica, tuttavia in Messico era in pieno sviluppo un Partito comunista che cercava di collegare la tradizione della Rivoluzione messicana con il messaggio della Rivoluzione d’Ottobre, e che contribuì a dare voce e dignità al movimento delle classi lavoratrici, attraverso lo sviluppo delle organizzazioni sindacali nelle miniere, nell’industria e nei servizi e soprattutto l’emancipazione dei braccianti e dei contadini poveri delle campagne attraverso la riforma agraria, l’alfabetizzazione e la diffusione della cultura tra le classi rurali. Per questi motivi il partito costituì anche il punto di riferimento per l’intero gruppo dei pittori di avanguardia e dei muralisti protagonisti del ‘Rinascimento’ artistico messicano, da Diego Rivera a José Clemente Orozco, ad Alfaro Siqueiros. E fu proprio per questa via che la giovane Tina Modotti, che si era trasferita in Messico con Weston nel 1923, trovò un concreto punto di riferimento per il suo vivissimo senso di giustizia e di condivisione verso gli oppressi e conobbe il suo primo apprendistato politico. (…)
(Oltre il Soccorso Operaio internazionale) L’altra organizzazione che ebbe un ruolo centrale nella vita di Tina fu il Soccorso Rosso Internazionale (SRI), in cui ella avrebbe militato a tempo pieno per l’intero arco degli anni ’30. Per la verità il Soccorso Rosso si caratterizzò sin dall’inizio per una minore autonomia dal Partito sovietico e per un raggio d’azione più limitato. Sorto alla fine del 1922 come organizzazione di aiuto alle vittime della ‘lotta rivoluzionaria’, il Soccorso Rosso andò tuttavia estendendo la propria azione alla tutela degli emigrati politici, all’organizzazione di campagne internazionali per la liberazione dei militanti incarcerati, per il diritto di asilo e più in generale contro il ‘terrore bianco’ e il fascismo.
Claudio Natoli, da «Tra arte fotografica e nuova umanità»

 

(…) Ma ora la Modotti doveva affrontare un problema. Come poteva trovare un linguaggio visuale accessibile che non tradisse i suoi principi estetici? Come poteva effettivamente convogliare un messaggio politico che non fosse un ricorso all’agitprop? Ella mise alla prova una serie di strumenti e sperimentò diverse strategie. Una di queste includeva fotografie simboliche in posa fatte per, ma anche di e con gli operai messicani. Operare in una maniera direzionale voleva dire che la Modotti poteva scegliere il setting ottimale per la sua immagine, trovare il giorno e l’ora in cui la luce fosse più favorevole per la foto e prendere tempo per sperimentare con distanze e angoli. La Donna con bandiera (1928), per esempio, ritrae una militante con una bandiera ondeggiante che cammina lungo il parapetto di un tetto. Il lato del parapetto serve a completare un triangolo fortemente evidenziato creato dalla bandiera, dal palo di bambù e dalla fascia della donna. Della portatrice della bandiera, che sembra un’indigena, vediamo soprattutto il profilo della testa, lo sguardo distante e i piedi che avanzano risolutamente. Soltanto la bandiera è perfettamente a fuoco. È scura, quasi troppo grande, e fatta artigianalmente con nessuna falce e martello in vista. Donna con bandiera non è una foto sulle idee comuniste in sé, ma sulla volontà e sui fini politici. (…)
Per Tina Modotti stessa, gli eventi presero il sopravvento. Nel 1928 il precedente presidente Álvaro Obregón fu rieletto nella sua carica, ma, prima che potesse assumerla, fu assassinato da un pistolero cattolico che contrapponeva le politiche di Obregón alla religione. Sei mesi più tardi, il compagno della Modotti, il leader comunista cubano, Julio Antonio Mella, fu assassinato. A seguito di un presunto sospetto riguardo al delitto, Tina fu messa agli arresti domiciliari e diffamata sui giornali di Città del Messico, ma in seguito fu rilasciata. Nello stesso anno, il 1929, ci fu una spaccatura devastante nel Partito Comunista, determinato dallo scisma tra Josef Stalin e Lev Trockij. Inoltre, quando le nuove politiche del Comintern fecero propria la ‘linea classe contro classe’, il governo messicano scatenò un’offensiva contro il partito, sopprimendo le pubblicazioni, incarcerando i militanti o costringendoli alla clandestinità. Nei primi mesi del 1930 Tina Modotti fu incarcerata per un breve periodo per un suo preteso ruolo nel tentato assassinio del presidente Pascual Ortiz Rubio, da poco eletto. In seguito, dopo sei anni e mezzo intensamente passati in Messico, fu esiliata. Il 25 febbraio Tina partì dal porto di Veracruz sulla nave da carico olandese Edam diretta a Rotterdam. Sia lei che il Messico stavano voltando pagina.
Patricia Albers da «Tina Modotti e il Rinascimento messicano»

La biografia di Tina ha sempre suscitato dunque interesse ma forti avversioni: figura antitetica al modello tradizionale di donna, artista, comunista, attivista nel Soccorso Rosso, donna intenzionata a trovare una propria autonoma strada e sessualmente libera, non poteva suscitare la simpatia degli ambienti conservatori, che non hanno neppure mostrato interesse per la sua attività artistica, mentre molte sue scelte personali erano, lo si è detto, antitetiche ai modelli proposti dalla cultura cattolica così come da quelli di una parte della cultura della sinistra, comunista in particolare. Da qui un lungo oblio, ancor più significativo in una regione che ha espresso una costante attenzione alla valorizzazione delle iniziative locali, anche in campo artistico, e nonostante l’esistenza di enti impegnati a studiare, diffondere e valorizzare ciò che può essere catalogato secondo il polisemico concetto di friulanità. Quanto detto permette di evidenziare l’originalità e difficoltà del lavoro svolto a partire dagli anni ’70 da Riccardo Toffoletti, che si è mosso nelle due direzioni correlate della valorizzazione della prospettiva artistica e della raccolta, ampiamente testimoniata anche dal suo archivio, di notizie e documentazione, con uno sforzo infine costante di diffusione dei risultati e di sollecitazione del dibattito nella sua terra natale, che voleva affrancare dai pericoli del provincialismo.
Paolo Ferrari da «Riccardo Toffoletti e la riscoperta di Tina Modotti»