Incontri, incroci, combinazioni. Amori a due poi a tre. Qualcosa si muove nel mondo della musica. E si muove nella direzione più interessante, quella di un territorio non delimitato dove i saperi e gli idiomi cercano nuove vie per creare libertà. Ma dalle parti dell’avanguardia, naturalmente. Due istituzioni musicali quasi venerabili, la Iuc (Istituzione Universitaria dei Concerti) di Roma e la Società Scarlatti di Napoli chiamano Roscoe Mitchell, Michele Rabbia e Gianni Trovalusci a due concerti di libera improvvisazione o di composizione istantanea.

UN JAZZMAN, Mitchell, celebre leader dell’Art Ensemble of Chicago. Ormai definirlo solo jazzman non si può, anche se la pronuncia dei suoi sax (sopranino, soprano, alto) mantiene quelle nuances che solo la parola jazz può nominare. Un percussionista, Rabbia, che conosce tutte le lingue ma ne inventa una sua quando aderisce fino in fondo allo slogan «divenire sperimentali». Un flautista, Trovalusci, che più dei partner arriva dall’universo «dotto» e con curiosità vorace è pronto a metterlo in discussione e magari rovesciarlo.

Gianni Trovalusci

ECCO l’amore a tre, dopo che tutti e tre si erano allacciati in performances a due nel recente passato. Eccoli all’Aula Magna della Sapienza. Subito i suoni singoli puntati in sovracuto di Mitchell al sopranino dicono molto su quello che sarà il campo delle operazioni, il temerario progetto del set. Potrebbero essere canti di uccelli totalmente a-melodici e non-armonici? Potrebbero. Quel che è certo è che rifiutano ogni consequenzialità, fosse anche la più «implicita». Cercano solo di non tracciare mai una linea qualsivoglia, non diciamo una frase. Trovalusci con il flauto basso e con uno dei suoi famosi tubi emette suoni aspirati che in qualche modo sembrano già più strutturati. Rabbia si affida a un drumming leggero che prende le mosse da quello del classico free.

Mitchell è un musicista che ritiene l’estremismo una cosa necessaria. Nessuna concessione al lirismo, non parliamo di uno sprazzo di cantabilità. Punta a un puro «oggettivismo», se c’è espressione nel suo procedere quasi maniacale è il carattere di manifesto dell’antimelodia, e per melodia si intenderebbe in questo caso una successione di suoni del tutto scollegati dalla tonalità. No, non è roba per lui. Le aperture a una minima frase ultra-free riconoscibile come tale sono rarità, anomalie in un itinerario tanto volutamente cerebrale da diventare scandalosamente emozionante.

Michele Rabbia

È L’UOMO che stabilisce il clima sonoro, Mitchell. Inutile nasconderlo. Anche nell’amore a tre c’è a volte un soggetto dominante. In un episodio bellissimo Trovalusci dialoga con lui con un fraseggio del tutto avant-garde che, però, suona voluttuoso. Cerca di tentare il maestro senza riuscirci, grande il piacere dell’ascolto di questo corteggiamento e di questo contrasto. Ma nel finale un meraviglioso solo di Rabbia tutto felpato sui piatti introduce un’area di meditazione più distesa e intima. Estremismo sì, ma non austerità.