Un piccolo gioiello, l’ultimo breve romanzo di Amélie Nothomb (Barbablù, Voland 2013, trad. di Monica Capuani, pp. 112 , euro 14). Tempi duri per gli aguzzini, seppure mascherati da nobili spagnoli ricchi e sofisticati, dinanzi all’acume e alla potenza dialettica della venticinquenne Saturnine, che accetta senza timore la sfida lanciata da don Elemirio, mostro in versione raffinata, sospettato di aver fatto sparire le otto precedenti inquiline ospitate nella sua lussuosa dimora parigina. Il moderno Barbablù descritto nelle pagine del libro non cerca il sesso. Il suo è una sorta di delirio mistico nutrito da una sfrenata passione per il lusso, la bellezza, l’eleganza, in cui regna la presenza dell’oro e delle infinite sfumature del giallo, che è il colore a cui il prezioso metallo più si avvicina.

La strategia di Saturnine consiste nel decostruire il mostro trattandolo come un soggetto normale, accettando una quotidianità nutrita di cibi straordinari e bottiglie di champagne selezionate tra le più pregiate produzioni ed annate. Conquistare l’anima della sua ospite, rendendola partecipe del suo delirio, si rivela come il vero obiettivo del nobile spagnolo.

Uno dei passaggi più coinvolgenti è quando Elemirio, abilissimo sarto oltre che cuoco sublime, realizza per Saturnine una gonna color giallo e oro, incrinando nella giovane donna la propria certezza di non amarlo in alcun modo. Egli cerca di sedurre la ragazza attraverso il lusso e la perfezione: il magnifico abito di seta e velluto non lascia indifferente la giovane donna. Ulteriore arma a vantaggio del nobile spagnolo è l’estrema gradevolezza e discrezione della sua compagnia. Seduti a tavola, i due dialogano. E proprio l’arte di far dialogare i personaggi con leggerezza ed acume è uno dei doni della scrittura di Amélie Nothomb.

La stessa Saturnine resta sorpresa dalla piacevolezza della vita che conduce in compagnia di colui del quale comincia a dubitare che si tratti realmente di un mostro assassino.

Nella sontuosa dimora la ragazza può fare ciò che vuole, ricevere le sua amiche, ordinare alla servitù ciò che desidera. Le viene imposto un solo divieto, quello di non poter entrare in una stanza dove don Elemirio custodisce i suoi segreti. Ma la stanza non è chiusa a chiave. E il non aver saputo resistere alla tentazione di entrarvi è stata forse la causa della scomparsa delle precedenti ospiti della casa.

Sullo sfondo della narrazione riemergono tematiche già frequentate da Nothomb: perché si ama? Come nasce la passione? Cosa genera il sentimento? Una sfumatura, una frase sottilmente gentile, una particolare attenzione, un’espressione. E ogni volta la risposta può essere diversa. L’autrice decide di costruire un Barbablù dalla figura gradevole e interessante. Ma anche nevrotico come un personaggio di Thomas Bernhard, timoroso della folla, del mondo esterno, al punto di non voler mai uscire di casa.

Amélie Nothomb ancora una volta mette il lettore di fronte a una verità spiazzante: l’amore si manifesta in modi imprevedibili e può mostrare numerosi volti. A condurre il gioco non è sempre il più forte e i segreti più inconfessabili si lasciano svelare quando l’amore fa crollare le difese. «Esiste una geografia amorosa che vale le cartografie di guerra». I dialoghi inducono ad uno sguardo mai banale su temi metafisici, quale la natura di Dio, il cattolicesimo, la sostanza dei colori, il senso della vita, la morte, la bellezza, la perfezione, l’amore metafisico.
In questi passaggi risiede una modernità che affonda le proprie radici in una sfera di sentimenti primari, quasi arcaici. La sfida della camera proibita, rischio mortale per Saturnine, allude all’intreccio inscindibile di amore assoluto e morte. In questa stanza sono custoditi i ritratti, di una bellezza assoluta, delle otto donne scomparse.
Qui si ferma la possibilità di raccontare la trama senza sottrarre il colpo finale al lettore. Si può solo concludere affermando che si tratta di un libro costruito con la perfezione alla quale ci ha abituati Amélie Nothomb, autrice non di rado incompresa nella vulgata della critica italiana, più interessata al copricapo della scrittrice e all’abile costruzione mediatica del personaggio. Spesso a discapito di un’attenta lettura del testo e un’adeguata comprensione del senso.