«Mississippi, non credi che sia venuto il momento che quella bandiera venga giù?».

Al termine di un’estate contrassegnata da drammatici fatti di sangue – i numerosi giovani afroamericani uccisi dalla polizia e la strage compiuta a Charleston, in South Carolina, da un giovane suprematista bianco – che hanno dimostrato come il razzismo sia negli Stati Uniti tutt’altro che un retaggio del passato, sono le parole di una canzone a scuotere la coscienza del paese. Scritta e cantata da Steve Earle, uno dei musicisti più noti e apprezzati dagli americani, Mississippi, It’s Time, già definita, a qualche giorno dalla sua diffusione in rete, come «un capolavoro» da Rolling Stones, chiede alle autorità dello stato del profondo sud di rinunciare alla vecchia bandiera confederata che ne è ancora l’emblema: «È tempo di cambiare, di ammainare definitivamente quel simbolo di odio».

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Infatti, come ha spiegato Morris Dee, fondatore del Southern Poverty Law Center, la maggiore associazione antirazzista del paese, nata in Alabama sulla scorta del movimento per i diritti civili dei neri, che guida da tempo la mobilitazione perché la bandiera sia rimossa, «si tratta di un vessillo che non solo ha rappresentato gli stati che si battevano per difendere lo schiavismo, ma che dopo la fine della guerra civile è stato adottato da gruppi violenti come il Ku Klux Klan e da coloro che difendono la supremazia bianca ancora oggi. Incarna un passato che l’America vuole lasciarsi alle spalle», Proprio Dee, in passato scampato più volte ai tentativi di assassinio da parte del Klan, si è rivolto a Steve Earle perché si unisse alle proteste contro l’uso della bandiera confederata in tutto il sud.

Una battaglia, quella per la rimozione dei simboli di quell’infame passato – statue, bandiere e targhe di ogni sorta che sono ancora visibili in centinaia di località -, che il centro ha lanciato già nello scorso decennio, quando gli attivisti chiesero, ma invano, che fosse rimossa la bandiera confederata che sventolava sul parlamento dell’Alabama dai tempi del governatore segregazionista George Wallace.

Ma perché le proteste trovassero nuovo vigore, si sono dovute attendere le recenti tragedie. Solo dopo che i media hanno diffuso le immagini dello stragista di Charleston, Dylann Roof, che annunciava la sua personale «guerra razziale» davanti a un vessillo della Confederazone, la questione è tornata d’attualità.

E qualcosa ha cominciato a muoversi. Nel campus dell’università del Texas è stata rimossa, su iniziativa delle autorità accademiche, una statua di Jefferson Davis, che dei «sudisti» fu l’effimero presidente, mentre i governatori repubblicani di Alabama e South Carolina, rispettivamente Robert Bentley e Nikki Haley, hanno finalmente acconsentito ad ammainare la Stars and Bars, il vessillo confederato, da tutti gli edifici pubblici.

Phil Bryant
Phil Bryant, governatore del Mississippi, con alle spalle la “Stars and Bars”

Restano però molti altri casi, censiti dal Splc, come la statua ai caduti confederati che sorge in un parco della città di Rockville, nel Maryland, in cui le autorità non sembrano disposte ad accogliere in alcun modo le richieste degli antirazzisti. Tra questi, quello dello stato del Mississippi, che ha adottato nel 1894 una bandiera che si rifaceva a quella della Confederazione e non ha più voluto disfarsene. Proprio qui, dove la lotta degli afroamericani fu repressa nel sangue mezzo secolo fa, il governatore Phil Bryant, anch’egli repubblicano, non vuol saperne di rinunciare alla “sua” bandiera; e al suo fianco è sceso in campo anche Donald Trump.

Per uscire dall’impasse, il mese scorso, diverse celebrità dello stato, tra cui lo scrittore John Grisham, l’attore Morgan Freeman e l’ex campione di football Archie Manning, hanno acquistato un’intera pagine del Clarion-Ledger, il maggiore quotidiano locale, stampato a Jackson, per lanciare un appello affinché «il Mississippi abbia un nuova bandiera che rappresenti finalmente tutti i suoi abitanti». Nel frattempo, Steve Earle si era già unito all’impresa.

Progressista, si è fatto un nome, e molti nemici, opponendosi alla guerra del Vietnam come a quella dell’Iraq, e di origini texane, il musicista ha spiegato che «proprio per uno come me che è nato e cresciuto nel sud, quella bandiera incarna un razzismo che ho combattuto per tutta la vita e che tradisce la reale identità del paese: il vero Mississippi non ha niente a che fare con quei simboli, bensì con i libri di Faulkner e con il blues».

Registrata in agosto a Chicago al termine del tour estivo di Earle, Mississippi, It’s Time è una potente e rabbiosa ballata country-rock che si candida ora a diventare per l’America dell’era Obama ciò che fu We Shall Overcome, il canto gospel riadattato in chiave folk da Pete Seeger, per il movimento dei diritti civili degli anni Sessanta: un simbolo di cambiamento e di libertà.