Due piedini luridi nelle ciabatte da mare in un inverno gelido. Una mano di bambina violata che si insinua in quella di una giovane donna per cercarvi riparo. Kim Ji-eun e Baek Sang-ah si sono appena conosciute in un vicolo lastricato di neve, ma entrambe si portano negli occhi e nel cuore l’impronta infernale dell’abuso domestico. La grande se lo trascina dentro dall’infanzia, come un macigno, che ora precipita innanzi alla visione del corpo della madre – colei che le ha deturpato la vita – mai più vista e trovata morta in solitudine, mentre una foto le ritrae al lunapark il giorno in cui l’aveva abbandonata. La piccola, Kim Ji-eun, lo sta vivendo adesso. Occhi tenerissimi inermi, cerca aiuto dalla minuscola finestra della sua casa prigione.

Miss Baek di Lee Ji-won è una luce potente nel cielo del 17mo Florence Korea Film Fest, conclusosi lo scorso 29 marzo, con la direzione di Riccardo Gelli.

Cosa tutt’altro che facile, quest’opera prima di una filmmaker che viene dal mondo della sceneggiatura, ha Il coraggio e la sapienza per guardare nel profondo glaciale rimosso di una società, fino a toccare una materia acuminata e insostenibile: Seul, nella prima sequenza del film, la radio segnala temperature di 14 gradi sotto zero. Miss Baek ha dunque la temerarietà di scoperchiare una casa, oltre le mura alibi per chi non vuol vedere, e scoprire dall’alto, in una lavanderia mefitica, Kim Jin-eun, nove anni, annichilita sul pavimento, accerchiata dalla sporcizia, dalla mancanza di affetto di cure di cibo e di abiti adeguati, nonché dal continuo efferato abuso fisico e psicologico da parte di coloro che, per lo Stato, sono deputati a prendersi cura di lei: il padre biologico e la convivente.

Non era facile, no, e tanti erano i rischi. Innanzitutto era necessario un rigore filologico di stampo documentaristico, che consentisse però di abbracciare la gigantesca portata emotiva del racconto. Per questo Lee Ji-Won si è mossa da una storia vera, sostrato di cui si avverte la forza deflagrante, poi modellata dalla duttilità del cinema. Senza dire che tanti sono gli accenni agli abusi sui minori in Corea del Sud, dalle parole di Jang Sup, poliziotto – ex di Baek Sang-ah, unica figura maschile positiva – che lamenta centinaia di migliaia di casi, al martellare della tv sull’argomento, al ritrovamento nel bosco di un bambino ucciso.

In questa ricerca di interlocuzione con il reale, il film arriva a disvelare le responsabilità dello Stato: così la denuncia della bambina, che da sola si spinge fino al commissariato, si conclude col suo essere rispedita dai suoi carnefici, così le istanze di Miss Baek ai poliziotti, sono sminuite “i vicini non hanno mai sentito gridare, non ci sono prove (davanti al corpicino martoriato di Kim Ji-eun) e la stessa minore nega (certo, davanti ai suoi carcerieri …).

Magnifica poi è la discesa nel devastato mondo interiore di Miss Baek, nei meandri post-traumatici che affliggono l’esistenza di chi sopravvive agli abusi nell’infanzia: la sua rabbia sempre sul punto di esondare (in seguito vittima di stupro, ha conosciuto il carcere per tentato omicidio e questo è un enorme ostacolo al suo nascente desiderio di occuparsi della bambina), l’incapacità ad abbandonarsi all’amore anche con chi tiene a lei (per questo sarà sempre e solo Miss), il rimpianto lacerante per la madre, mentre dai racconti in flashback emerge il rimorso della donna, il suo averla abbandonata per sottrarla a se stessa sotto l’effetto dell’alcol.

In questa attenzione dedicata alla catena delle violenze, perfino il padre biologico di Kim Ji-eun, perso nell’alienazione dei videogame e capace di esplosioni sadiche insostenibili verso la figlia, durante l’interrogatorio con Jang sup urla il suo odio per essere sopravvissuto agli abusi subiti da bambino.

Su tutto la relazione tra Miss Baek e Kim Ji-eun: come fragilissimi specchi, il dolore vivo della bambina e quello antico della donna, i cui ricordi emergono con il desiderio di proteggere la piccola, di confrontarsi con una dimensione dativa, dunque di innaffiare se stessa di allora. Splendido quando, non sapendo come fare per difenderla dalla matrigna, la chiude in una teca-macchina e getta la chiave.

Talmente forte l’impegno richiesto alla piccola attrice, che ho rivisto il film anche per capire meglio, scena per scena, cosa abbia dovuto attraversare. Di fatto – ed era conditio sine qua non etica dell’opera – grazie al montaggio, i contatti diretti con la violenza, anche se simulata, le sono stati risparmiati il più possibile.

Resta l’adrenalina, in certi momenti hitchcockiana, la paura che proviamo nelle sequenze della sua fuga e in quelle del suo salvataggio, il pianto che ci apre dentro quando accarezza la schiena marchiata dalle cicatrici di Miss Baek, promettendole: ti proteggerò.

Tutto questo in un film non intellettualistico, ma diretto, umano, fortissimo eppure delicato come i fiori di ciliegio, che faranno da cornice al futuro di queste due piccole donne di Seul.