Nei solitari e rinchiusi giorni delle feste natalizie ho rivisto Miracolo a Milano, disponibile su YouTube. Quel film realizzato settant’anni fa, che vinse la Palma d’oro nel 1951, fortemente voluto da Vittorio De Sica che per realizzarlo si indebitò personalmente, ispirato a un piccolo racconto per ragazzi di Cesare Zavattini (Totò il buono) che collaborò con il regista alla sceneggiatura, non è solo un capolavoro di poetica, ma anche un manifesto politico di straordinaria attualità e che per questo dovrebbe ispirare chi vuole fare buona politica. Visto che il prossimo anno si eleggerà il sindaco di Milano… chi vuole intendere intenda, ma il simbolico è estensibile a tutto il Paese.

In quegli spazi urbani post guerra dove la povera gente rimasta senza casa e senza lavoro si arrangiava costruendo baracche in periferia (il film è girato nei dintorni dell’attuale via Valvassori Peroni, zona Lambrate) ci sono gli stessi bisogni che attanagliano tante vite di oggi: fame, freddo, mancanza di un tetto, di abiti, di cure, di denaro, di servizi essenziali come l’acqua corrente o la luce.

Nella metropoli di allora, come in quelle di oggi, c’è lo stesso capitalismo feroce che illude per arraffare e arricchirsi ancora di più, c’è la stessa arroganza immobiliare che specula cacciando sempre più ai bordi chi non può permettersi di acquistare, spesso indebitandosi per decenni, i nuovi e costosi standard abitativi. Semmai, l’abisso fra chi può e chi non può si è allargato ancora di più. Non avere una casa, o averla scalcagnata, in un luogo brutto e deprimente, ammala la vita e non è un caso se proprio attorno a questo spazio sostanziale ed emblematico ruota Miracolo a Milano.

La casa non è un luogo qualunque, ma il posto dove porti e ripari il tuo corpo, dove dormi, mangi, ti lavi, studi, spesso lavori, accudisci, leggi, convivi, inviti, accogli, ti rifugi, ti rilassi, accumuli ricordi, sogni, chiacchieri, inventi, ti scaldi. L’innocente e luminoso protagonista del film, Totò, non è il ragazzo tonto che potrebbe sembrare agli occhi degli smaliziati, ma un messaggero di possibilità. È il portatore di un’utopia, colui che mostra che un altro mondo e modo di vivere sono realizzabili, che la povertà può diventare meno umiliante se invece di costruirsi ognuno una baracca isolata si realizza un quartiere, sempre di case malferme certo, ma vicine e che quindi fanno collettività, che invece di farsi la guerra fra poveri ci si può unire per vincere chi opprime, che anziché chiudersi nell’autocommiserazione si può ribaltare il senso dell’esistenza con la fantasia e l’immaginazione, che si può e deve costruire un mondo dove «Buongiorno vuol dire davvero buongiorno».

Miracolo a Milano è anche un film sul desiderio, sulla potenza del desiderare il desiderio, entità misteriosa, spesso confusa con la brama di oggetti che, poi, quando li ottieni spesso si rivelano in tutta la loro ridicola inessenzialità o marginale importanza. Desiderare il desiderio è un’arte, ma anche una pratica imparabile. Il desiderio del desiderio è la base di ogni rivoluzione, personale e collettiva perché è come un carburante dell’esistenza che mette in moto un processo di rinnovo continuo di idee, domande, confronti, ricerca di soluzioni, tentativi, esplorazioni. Desiderare il desiderio significa rendersi disponibili allo stupore, all’incontro, all’ascolto, al conflitto anche. Alla base di un desiderio c’è sempre la voglia di sperimentare e osare perché se non tutto è possibile, tutto è tentabile. Questo è il mio augurio. Desiderate il desiderio.

mariangela.mianiti@gmail.com