Sono passati tre anni da La guerra di Minkiaman, storia di origini del super-eroe sui generis votato alla difesa dell’immaginaria metropoli sicula Balarm Town. Ma benché il volume realizzato nel 2018 da Gianni Allegra per Tunué si fosse chiuso in bellezza, per un «super» che si rispetti il riposo del guerriero non dura mai. Dunque, nuovo editore e nuova avventura. «Non riuscivo a non pensare a Totuccio», spiega l’autore palermitano classe 1956 introducendo il nuovo romanzo grafico targato Comicout. «Minkiaman mi si è attaccato addosso e non riesco più a liberarmene. In teoria, la storia dovrebbe concludersi con questo nuovo episodio, ma già adesso mi vengono in mente cose di cui però non posso parlare, anche per i possibili sviluppi cinematografici del fumetto…». Pensi «cinema» e subito la mente corre al bianco e nero e ai personaggi estremi di Ciprì e Maresco. Mai confondere i piani, però: «La fruizione del cinema è passiva, ogni fotogramma passa e va. Con il fumetto, il lettore deve prendersi del tempo per decrittare e interpretare la narrazione. Può essere un’impresa impegnativa». Al di là dei rapporti tra i due linguaggi, il senso ultimo del nuovo «Minkiaman» va oltre la satira sociale di Cinico Tv. «La scrittura satirica ti insegna a essere rapido e sintetico», continua Allegra. «Ma dopo 35 anni, viene voglia di rinnovarla in altre forme». Obiettivo, una storia che aggiorna all’oggi personaggi e temi da Magna Grecia.

E DOPO I TONI da commedia nerissima del primo volume, qui si passa alla tragedia, mettendo al centro del racconto la forma primordiale della società: «La famiglia, in senso letterale e in senso lato. Famiglia come nucleo familiare, ma anche come nucleo mafioso e guerrafondaio. il motore della storia è il papà del protagonista, Totuccio. Un papà frustrato, che nel contesto distopico del fumetto vorrebbe essere un grosso mafioso ma è solo un criminale di mezza tacca. Accanto a lui c’è una moglie sottomessa, ma solo apparentemente. Insieme, padre e madre rappresentano due caratteri disturbanti, che non partecipano minimamente alla costruzione del carattere del loro figlio, ma lo sviliscono, lo mortificano, lo trattano alla stregua di un cane. E qui c’è la cosa divertente perché in realtà questo bambino è un cane, nell’accezione più ampia, bella e selvaggia del termine. Lui capirà di potercela fare proprio perché è un cane. Un super-cane».

IL MONTAGGIO ’facile’ delle scene d’azione rimanda al più classico fumetto commerciale. Ma oltre questa ’vernice’ superficiale si cela un racconto più dark, stratificato e ambizioso, una discesa nell’inferno dell’animo umano che nelle sequenze più viscerali del libro frantuma la gabbia a sei vignette vista in La guerra di Minkiaman per tuffare il lettore in un limbo oscuro e vischioso. In questa sorta di dormiveglia vagano suggestioni fra eros e thanatos che più che il fumetto ’basso’ ricordano le liaisons dangereuses febbrili e cervellotiche del miglior Crepax o i gironi infernali di Go Nagai. Fumetto che, per dirla con Allegra, «Si può permettere tutto, anche di raccontare il sesso come potere o la violenza che si perpetra in contesti ipocritamente borghesi». La chiusura è un programma: «Onestamente, di piccole storie intimiste e ombelicali ne abbiamo un po’ tutti tutti le scatole piene. Io, dopo oltre trent’anni di satira fatta in contingenze un po’ asmatiche, mi sono detto di voler fare una storia selvaggia, di voler raccontare in modo un po’ autobiografico un talento rimasto a lungo troppo compresso». Non c’è due senza tre: alla prossima avventura, Minkiaman.