L’epicentro della crisi ha il nome di una tranquilla località balneare del litorale fiammingo, Koksijde, nota per i suoi 8 chilometri di sabbia bianca battuti dai venti e dalle maree del Mare del Nord. È in questo centro di 20mila abitanti, decuplicati nei mesi estivi dall’afflusso dei turisti, che sono stati accolti da alcune settimane circa 300 profughi provenienti soprattutto da Siria e Afghanistan, sistemati, in attesa che la loro domanda di asilo sia esaminata, in una base dell’aereonautica nota perché ospita la 40a squadriglia di elicotteri Sea King, fiore all’occhiello delle forze armate del reame.

Una vicenda locale che le dichiarazioni allarmiste rilasciate dal borgomastro liberale della cittadina, Marc Vanden Bussche, ad alcuni importanti quotidiani fimminghi, De Morgen e Het Laatste Nieuws, hanno però contribuito a proiettare al centro del dibattito politico belga, fornendo alla destra nazionalista delle Fiandre l’occasione per tornare all’attacco sul tema dei profughi.
Da sempre contrario ad accogliere qualunque «straniero», il sindaco di Koksijde si è detto preoccupato per la situazione e ha chiesto «controlli più stretti» e l’«adozione di «gilet antiproiettili per gli agenti che devono perquisire i rifugiati». Il motivo della sua inquietudine? Le non meglio specificate «gravi infrazioni» di cui si sarebbero resi responsabili gli ospiti. Peccato che per il momento le uniche infrazioni commesse da questi ultimi che siano state registrate sono l’aver utilizzato senza permesso una rete wifi privata, tre casi, e una passeggiata sulla spiaggia, due casi.

Per quanto paradossale possa apparire, tanto è bastato al ministro degli Interni, e vicepremier belga, Jan Jambon, esponente di spicco della Nuova alleanza fiamminga, il partito indipendentista, liberista e anti-immigrati maggioritario nelle Fiandre e partner più significativo della coalizione governativa di Bruxelles guidata dal liberale wallone Charles Michel, per scatenare una nuova offensiva. Approfittando del momento difficile che attraversa l’esecutivo, alle prese con la querelle comunitaria scoppiata a Linkebeek, un comune a maggioranza francofona della regione di Bruxelles dove proprio l’Nva ha imposto un sindaco fiammingo provocando reazioni indignate e la convocazione di elezioni municipali anticipate entro la fine dell’anno che avranno il senso dell’ennesimo referendum sulla tenuta unitaria del paese, Jambon ha proposto che «i richiedenti asilo portino con sé un badge che permetta la loro identificazione immediata». Così, ha spiegato il ministro che è noto per il suo passato vicino all’estrema destra, «faciliteremo la vita di costoro e quella delle forze dell’ordine che devono controllarli». Insomma, un segno distintivo che permetta a tutti di capire immeditamente che si tratta di un rifugiato.

Una proposta non a caso subito rifiutata dalle associazioni che si occupano dell’accoglienza a migranti e profughi e che nelle scorse settimane si sono occupate delle centinaia di migranti e profughi accampati nel parco Maximilien di Bruxelles in attesa di un intervento delle autorità; negli ultimi due mesi in Belgio sono arrivati circa un migliaio di richiedenti asilo ogni settimana.

Per Caroline Intrand, del Coordinamento di queste associazoni, si tratta di «una misura che punta alla stigmatizzazione e alla criminalizzazione dei rifugiati». Mentre per Philippe Hensmans, di Amnesty International, il ministro sembra evocare «un regime penitenziario per persone che hanno come unica colpa quella di aver chiesto asilo». Ancora più duro Alexis Deswaef, presidente della Lega per i diritti dell’uomo, che parla di una «proposta abbietta e illegale» e di come Jambon «soffi sulle paure dei nostri concittadini invece di rassicurarli. Mi sembra sia la definizione stessa del populismo!».

Quanto alla replica del ministro, dai suoi uffici hanno fatto sapere di non comprendere il motivo delle proteste: «Noi non abbiamo mica detto che i profughi dovranno girare con il badge al collo».