Nonostante le interrogazioni parlamentari, gli scioperi, le dichiarazioni e gli impegni presi dalla ministra Federica Guidi, nonostante i tavoli e gli osservatori, le commissioni aperte al ministero dello Sviluppo, alla fine i licenziamenti sembrano inesorabili, e sono tantissimi: i call center, a causa delle gare al massimo ribasso e aiutati dal ricambio di personale favorito dagli incentivi della legge di stabilità, sono di fronte alla più grande “ristrutturazione” mai avvenuta, simile per proporzioni alla vasta campagna di stabilizzazioni del 2007, era Damiano.

Le imprese hanno deciso o di lasciare l’Italia (come si starebbero disponendo a fare multinazionali come Transcom e Teleperformance), perché non reggono più la competizione delle nuove arrivate, o in alcuni casi si disporrebbero a licenziare per poi riassumere con gli incentivi. In altri casi – ma sono quelli meno diffusi, come Almaviva – si firmano accordi per prolungare la solidarietà, ma non è detto che siano modelli che alla lunga possano reggere: solo i grossi gruppi riescono ad ammortizzare, tutti gli altri devono decidere in fretta. E questo vuol dire migliaia di lettere di licenziamento, da mandare a breve: la denuncia è venuta ieri dalla Slc Cgil, che ha stilato una tabella delle crisi occupazionali aperte in tutto il Paese, e ha lanciato un ultimo, disperato appello a un governo che in questi mesi è rimasto completamente fermo.

«È vero – spiega Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil – La ministra Guidi davanti a noi e poi anche al Parlamento ha dichiarato che avrebbe agito. Il ministero ha svolto un’inchiesta per vedere se fosse applicata la normativa Ue sulla privacy che tutela dalle delocalizzazioni, e ci è stato detto che “quasi nessuna azienda la rispetta”, parole del sottosegretario Giacomelli: ebbene, a dicembre ci hanno detto che avrebbero inviato le lettere di sanzione, ma sono rimaste sempre nel loro cassetto. Allo stesso modo, hanno convocato solo due volte la commissione che dovrebbe monitorare e riformare il settore, per poi revocare all’ultimo momento l’incontro».

Una situazione paradossale, di “fuffa” in cui sia il ministero che la politica hanno avvolto il settore, lasciando imprese e lavoratori da soli. E quindi alcune aziende hanno cominciato a licenziare.

I casi più eclatanti e attuali sono quelli di Transcom e Teleperformance, multinazionali che in questi giorni hanno annunciato al sindacato la volontà di “societarizzare” le loro sedi locali: «In poche parole – spiega il sindacalista Cgil – si dividerebbero in tante società, individuando quelle più redditizie, con le commesse migliori, per poi venderle, e chiuderebbero invece quelle in perdita. Faccio l’esempio di Teleperformance, che ci ha fatto capire di essere pronta a chiudere la sede di Taranto, con 1800 dipendenti, mentre potrebbe tenere quella di Roma, magari per venderla, e la terza in Albania. A quel che abbiamo capito vuole proprio uscire dal mercato italiano, perché non regge i costi, al massimo potrebbe tenere il sito albanese. Analogamente la Transcom sarebbe pronta a concentrare quel che resta di buono, ad esempio la commessa Inps, in una società, e metterebbe tutte le altre commesse in un’altra società, per vendere».

La “societarizzazione” annunciata dalle due multinazionali al sindacato potrebbe aprire questi scenari, che non sono ancora stati ufficializzati dalle aziende ma rispecchiano i timori della Cgil e quello che gli stessi sindacalisti e manager si sono detti ai tavoli.

Ecco l’elenco delle crisi aperte nei call center: 186 lavoratori della sede di Call&Call di Milano andranno a casa a giugno; 360 lavoratori di Livorno sono destinati al licenziamento; 2.000 di Teleperformance devono scegliere fra decurtare il proprio salario o essere abbandonati al proprio destino; 10.000 lavoratori di Almaviva hanno dovuto accettare un altro anno di solidarietà mentre l’azienda continua a perdere commesse a causa delle richieste di ribasso.

E ancora: 2.000 lavoratori di Infocontact devono accettare il capestro di dimezzare le ore; 700 di Gepin Contact subiranno una cig onerosissima; 400 della 4you a breve finiranno gli ammortizzatori sociali, e poi saranno licenziati.

«Intanto – aggiunge Azzola – E-Care chiude la sede di Milano, mettendo in cassa 500 persone, e nel frattempo vince una commessa delle Poste che assegna a una sede pugliese: io mi chiedo, chi ci lavorerà? Non è che si faranno nuove assunzioni con gli incentivi?». La stessa E-Care aveva vinto un appalto per la romana Acea (controllata dal Comune di Roma), che però il Tar del Lazio ha annullato perché a suo parere, richiedendo il committente «un’attività dall’organizzazione complessa e non completamente standardizzata» non poteva far ricorso solo al criterio del massimo ribasso per assegnarla.