«Il primo rinnovo contrattuale e una lotta sul campo al caporalato con esperienze nuove e nessuno spot a favore di telecamere». Giovanni Mininni è segretario generale dalla Flai Cgil da sei mesi esatti. Oggi il sindacato degli agro alimentaristi tiene la sua assemblea generale alla presenza del segretario generale della confederazione Maurizio Landini.

Mininni, quanto è importante per voi questa Assemblea generale?
Molto. Siamo alla vigilia dell’apertura della trattativa per il contratto più importante della nostra categorie, quello dell’industria agro-alimentare che coinvolge più di 450mila lavoratori. Un settore in crescita, un contratto importante perché il primo ad andare a trattativa con una piattaforma unitaria discussa nelle fabbriche e approvata da 750 delegati accogliendo molti loro emendamenti dopo un loro coinvolgimento molto forte.

La piattaforma ha una richiesta salariale importante: 205 euro di aumento nel quadriennio.
Sì, con Fai Cisl e Uilca abbiamo costruito una piattaforma avanzata con una richiesta salariale molto più alta dell’inflazione perché pensiamo sia giusto aumentare i salari reali dei lavoratori. La trattativa parte il 10 settembre e vogliamo conquistare nuovi diritti per i lavoratori con nuovi poteri per i delegati nelle fabbriche che devono avere ruolo negoziale. È un cerchio che si chiude perché ad aprire la nostra assemblea generale sarà un video che ricorda Andrea Gianfaglia, delegato Fil Fiat Federbraccianti. Prima dello Statuto dei lavoratori, fu la nostra categoria ad ottenere che ogni delegato fosse agente contrattuale.

Non è passata settimana senza notizie di sgomberi di baraccopoli o morti sul lavoro nel settore agricolo. La battaglia contro il caporalato come prosegue?
Anche quest’anno l’abbiamo portata avanti contrastando il caporalato con la nostra modalità: il sindacato di strada. Abbiamo presidiato i campi con i nostri mezzi mobili – auto e furgoni della Flai – cercando di sindacalizzare il maggior numero di braccianti. Se l’anno scorso abbiamo portato con noi alcuni sindacalisti bulgari e rumeni a Castel Volturno in Campania, quest’anno avevamo con noi in Puglia nel foggiano alcuni sindacalisti senegalesi. È un esperimento che funziona: ci permette di avvicinare più facilmente i lavoratori che si fidano vedendo loro connazionali e possono parlare più facilmente. In più gli stessi sindacalisti quando tornano in patria raccontano il livello di sfruttamento a chi vuole partire verso l’Italia.

Il Manifesto ha raccontato il caso di Saluzzo (qui e qui), profondo nord leghista dove con la Caritas gestite una ex caserma come dormitorio e, nonostante i problemi, l’esperienza è positiva. Al Sud il modello Salvini si è limitato alla ruspa: buttar giù le baraccopoli senza dare un’alternativa ai braccianti.
È così. A Saluzzo siamo contenti di come sta andando. La legge sul caporalato è stata importante. Ma la parte sul collocamento pubblico è totalmente inapplicata. Così continuano ad esserci i casi come quello di Paola Clemente o l’ultimo lavoratore morto in Campania nella raccolta dei meloni. Siamo costretti a sostituirci allo Stato dove non c’è. A Saluzzo lo abbiamo fatto con la Caritas. In Puglia lo facciamo con la Regione che ha messo a disposizione furgoni per portare braccianti sui campi, aggirando i caporali. Sono state le aziende a convocarci dopo i sequestri dei furgoni l’anno scorso. Ci hanno detto: «Voi siete i più rompiscatole, avete fatto le denunce, diteci cosa dobbiamo fare per non perdere il raccolto di pomodoro». E noi nel foggiano abbiamo creato un collocamento fatto in casa a Casa Sankara con l’associazione No Cap e, con i furgoni della Regione, portiamo i lavoratori nei campi nel pieno rispetto delle leggi e dei contratti. Funziona. Ed è un modello che va allargato.

Fanno notizia le denunce dell’Usb di Aboubakar Soumahoro o il vostro ex delegato Yvan Sagnet.
Non voglio entrare nei personalismi. Dico solo che, nel massimo rispetto verso di loro, si tratta di personaggi mediatici che fanno interventi spot, come quello a Bari. Per risolvere problemi complessi come il caporalato serve il lavoro di un’organizzazione. A costo di apparire demodè io ai miei delegati chiedo di stare nei campi, non in televisione. Poi, certo, assieme possiamo essere più forti.

L’altra battaglia è quella sulla pesca. Un settore in crisi e molto collegato al tema del cambiamento climatico.
Siamo stati i primi a denunciare come le microplastiche inquinassero e riducessero il numero di pesci. Anche qui il nostro lavoro sta pagando e molti pescatori si sono iscritti alla Flai.