Visioni

Mimosa Campironi: «Nella mia musica istanti di bellezza»

Mimosa Campironi: «Nella mia musica istanti di bellezza»Mimosa Campironi – disegno di Luca Padroni

Porte girevoli Le decisioni che cambiano la vita, le strade non percorse. I luoghi lasciati, le note, le parole, la paura di partire,ogni volta che disfare una valigia è impossibile. Conversazione con la giovane attrice e cantautrice

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 25 maggio 2018

Mi sono innamorata di Mimosa Campironi vedendola in un videoclip qualche anno fa, Terza guerra mondiale cantava, lei era una figurina elegante vestita anni Venti, sempre presente nell’inquadratura, in un gioco caleidoscopico da far girar la testa. Il ritornello non mi lasciava in pace, lo canticchiavo ovunque. L’ho contattata e mi è piaciuta di persona quanto la sua musica, fresca e potente come una cascata nel deserto: lo sguardo da cerbiatto, la furia interiore di una Erinni. È una forza musicale, cantautrice, attrice, musicista. Una giovane donna eclettica alle prese con il mondo.

Nel 1993, al festival di Taormina (allora diretto da Enrico Ghezzi), vidi «Smoking/No smoking» di Alain Resnais, un film che erano due: in ognuno venivano rappresentate situazioni identiche alla partenza e differenti dal momento in cui un personaggio doveva scegliere se fumare o meno una fatidica sigaretta. Mi affascinano i momenti in cui tutto il tuo destino è racchiuso in un solo gesto. Sono attimi rari, di cui quasi mai si ha una percezione distinta. Tu che fai: fumi o non fumi?

Io fumo. E ho ben presente i momenti in cui mi è cambiato il destino. Il più importante è stato andare via di casa molto giovane, ho vinto una borsa di studio per studiare musica e recitazione. Era sicuramente una ribellione verso i genitori, ma anche una prova di affetto. Venni a Roma con mia madre a vedere la casa, il liceo, avevo quindici anni. Attraversammo la strada, il semaforo era rosso, ci fermammo e lei mi chiese «Ma tu sei sicura di volere venire qua?». Sapevo che la mia risposta avrebbe cambiato tutto. Se mi avesse sentito tentennare, mi avrebbe riportata a casa. Invece, mi ha lasciata libera con un grande atto di amore. Quella scelta ha cambiato il corso del lavoro, della vita, dell’amore. Sono contenta di averlo fatto nonostante i tanti sacrifici che ha comportato. Quella volta ho fumato di brutto, il mio primo smoking. Sono una dalle decisioni drastiche, improvvise. Anche rischiando, l’ho sempre fatto.

In un certo senso il momento creativo corrisponde a un trovarsi di fronte una miriade di scelte possibili, ognuna delle quali condizionerà l’opera verso una direzione. Che ne dici?

Soprattutto nella musica, quando si decide di registrare un disco, accadono delle scelte a domino, una porta l’altra. Ogni scelta cambia tutto, per i prossimi tre anni successivi. E se è quella giusta dopo tutto viene da sé. Questo mi fa pensare che la prima scelta sia determinante. A volte è meglio aspettare, invece di fare la scelta sbagliata. Non lo sai, lo fai istintivamente, solo anni dopo capisci perché hai fatto quella scelta e perché è andata bene. Quando ti rendi conto che la scelta iniziale è determinante cominci a ragionare e quello può essere un ostacolo. Uscire dal momento razionale è tosto. Il blocco creativo è quello, vai in palla.

Qualche volta nella vita ci sono istanti in cui spostare un unico tassello nella scacchiera modifica l’intera nostra esistenza. È raro percepirli, è difficile viverli, è curioso ricordarli. Pensi mai alle cose che hai lasciato nella strada che non hai scelto?

Penso spesso alle strade non percorse, ai luoghi, penso spesso: «se non fossi andata via»… Il momento di ogni partenza mi viene un’allergia fortissima, mi impedisce di fare la valigia, ho attacchi di panico davanti alla porta. Sono assalita dai dubbi: «Sto lasciando qualcosa, cosa succederà quando me ne andrò». In viaggio mi è difficile disfare la valigia. È un po’ la metafora della mia vita. La domanda «dove abiti?» mi fa paura perché significa che ho scelto dove stare.

L’artista surrealista Marcel Duchamp nel 1927 inventò una porta che apriva e chiudeva allo stesso momento, montata su un doppio stipite lasciava sempre aperta una delle due entrate: si entra e si esce a scelta, perché una porta è sempre chiusa, una sempre aperta. Tu fai la cantante el’attrice. Non hai chiuso una porta, ne hai aperte due: come gestisci le tue attività?

Non sono divisa, sono una. Cantare e recitare è come avere due amanti. A volte stai con uno che ti piace per l’intelletto ma lo vorresti con una capacità amatoria pazzesca, che non ha. Un’altra volta stai con il mio migliore amante del mondo ma non vai pazza per i suoi pensieri. Per me sono due storie d’amore parallele che si completano in una sola. Sto cercando di riunirle, di esprimermi in un modo in cui io non sia identificabile come una sola cosa delle due, cantante o attrice. In Italia ti identificano solo in un modo, invece si può essere due cose.

Esemplare è la la scena di «Casablanca» (1942, Michael Curtiz) in cui Ilsa (Ingrid Bergman) davanti all’aeroplano su cui si trova suo marito Victor Lazlo (leader della resistenza cecoslovacca, ricercato dalla Gestapo), deve decidere se restare a terra con Rick Blaine (Humphrey Bogart), suo grande amore, o fare la brava moglie e partire. Tu che faresti? Faresti prevalere il cuore o la ragione?

Per me la ragione è un ostacolo, mi fa paura seguire il cuore perché la ragione è un ostacolo. Sarei rimasta a terra. E questo è il mio lato pericoloso, i miei compagni hanno paura di questo mio lato. Perché mando a carte quarantotto tutto in un attimo. Anche nella musica se non sento il cuore non mi piace. Mi interessa che le canzoni abbiano un’anima e un cuore. E non è scontato, molti ragionano privilegiando altri aspetti, quello commerciale soprattutto, indossando un cappellino che non è il loro. La mia musica funziona di più live, che è il momento in cui prevale l’esibizione, a volte non seguo nemmeno il tempo preciso, i miei musicisti sanno che io cambio, suono per chi c’è, non mi piace creare un distacco tra me e chi mi ascolta. Spesso parto dal pubblico, sto in platea, chiacchiero con le persone e poi quando è il momento comincio. Nel disco nuovo ho cercato di introdurre un lato più razionale – la musica elettronica – non conosco ancora l’esito (il nuovo disco uscirà in autunno per La Tempesta Dischi, ndr). Non è ancora uscito quindi non conosco la reazione di chi lo ascolta.

«Le tourbillon de la vie», cantata da Jeanne Moreau, in «Jules et Jim» di Truffaut), parla di destino, di chance avute, perdute, acchiappate e perdute un’altra volta. Tu sei molto giovane, non credo possa avere dei rimpianti per occasioni mancate ma chi lo sa…

Ho questa peculiarità di innamorami, incontro una persona e mi innamoro profondamente, anche per un dettaglio. Questi innamoramenti fortissimi sono coinvolgenti al massimo e mi portano a creare qualcosa ma non sfociano né in una amicizia né in un rapporto sessuale. Col tempo ho imparato a riconoscere questi momenti e a gestirli. A volte mi sono chiesta se potessero produrre qualche cosa, a volte accade, a volte no. Mi innamoro, questa cosa la vivo intensamente ma dopo un po’ ciao. È una attitudine pericolosa, mi è costata parecchi cuori infranti, l’altra persona si coinvolge e dopo 4 giorni sono sparita.

In verità i momenti Sliding doors (Peter Howitt, 1998) vengono identificati come tali solo col passaggio del tempo. Quanto spunto trai dalla realtà per scrivere i tuoi testi?

Tutto deriva da una esperienza reale. O che ho vissuto o che ho letto o sentito da altri. Prendo le storie e le riferisco a me, non c’è mai nulla di inventato. Mi piace raccontare cose che succedono, magari dalle parole non si capisce ma tutto deriva dalla realtà.

Penso sempre, quando cammino per strada, a cosa succederà se vado a destra, a cosa succederà se vado a sinistra. Siamo meccanismi fallibili dentro un orologio perfetto. Questo pensiero produce in me uno stato costante di emergenza. Si fa musica, forse, per potenziare questi momenti?

Uno stato di allerta porta con sé una sorta di inquietudine, non sei mai rilassato, mai nel momento. La musica è il contrario, ti obbliga a fermare il momento, quello che racconti nella musica sono istanti di bellezza che io voglio continuare a vivere, a ricordare. Quando traduco in note e parole, in musica, riproduco un istante a cui tengo, che voglio contenere, che voglio tenere con me per sempre. Come se scrivessi una eredità, come se ogni volta scrivessi il mio testamento. Per ridere, nel primo disco, mi sono fatta scrivere un epitaffio da Aldo Nove, sul libretto del cd.
Finisce che stiamo insieme per ore. Pranziamo insieme, come se stessimo sempre per separarci. Mimosa viene raggiunta da un’amica. Incrocio per caso un’amica scrittrice che non vedo da tanto. Prendiamo un caffè tutt’e quattro. Poi ognuna va per la sua strada che la porterà chissà dove. Oppure tutto resterà esattamente come il momento prima di separarsi. Chissà. Tutto può succedere.

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