Ha portato con sé il metallo per costruire l’armatura, il legno di cipresso per la testa e il legno di faggio per il corpo, “perché senza i materiali giusti tutto il lavoro creativo rischia di svanire…” ci spiega Mimmo Cuticchio, erede e interprete dell’Opera dei pupi, nonché voce autorevole del nostro teatro, incline a farsi tentare dalle nuove sfide con esiti spesso sorprendenti. In questi giorni è a Parma per la prima edizione del progetto The artist is present, che prevede ogni anno la residenza di un artista invitato a lavorare in uno spazio pubblico per lasciare in dono una creazione alla comunità. Qui Cuticchio ha messo la sua arte a disposizione del pubblico, dei giovani curiosi, degli studiosi e dei turisti che si sono lasciati affascinare dai suoi meravigliosi pupi nella bottega ricostruita in via Macedonio Melloni, a due passi dal Castello dei burattini, sull’esempio del laboratorio teatrale di via Bara all’Olivella a Palermo. Un lavoro prezioso il suo, da spiare con ammirazione e da seguire in tutte le sue fasi fino all’esibizione sul palcoscenico, dove in questi giorni porta due lavori, A singolar tenzone e Aladino di tutti i colori, programmati da “Impertinente”, il Festival di teatro di figura organizzato dal Teatro delle briciole e dall’assessorato del Comune (fino al 28 marzo).

Mimmo, cosa significa essere figlio d’arte e cosa ha imparato da suo padre?

Sono nato in mezzo ai pupi… Il mio è un lavoro artigianale e in famiglia ho imparato a fare tutto. L’oprante (chi manovrava i fili) era anche puparo (cioè costruiva i pupi). Mio padre e mia madre mi hanno insegnato a lavorare in questo modo, ma ad un certo punto i vecchi maestri muoiono e noi tre fratelli (io, Nino e Guido) abbiamo deciso di dividerci i compiti. Ognuno di noi si è specializzato in qualcosa: io sono andato a bottega da Beppe Celano, un cuntastorie (da non confondere con cantastorie), cioè raccontava storie epiche, e da lui ho imparato a costruire i pupi; Nino è stato ad Alcamo, da Gaspare Canino, che gli ha insegnato la pittura; infine Guido da Enzo Moavero per imparare l’arte dell’intaglio. Le mie sorelle, invece – noi siamo sette figli in tutto – si sono dedicate al cucito e al disegno. Così fino all’inizio degli anni Settata tutti e sette abbiamo lavorato insieme, chi occupandosi di un aspetto chi di un altro. Poi, dopo gli anni della crisi, siamo rimasti in due, io e Nino.

E’ un mestiere a rischio il suo? O trova che ci sia ancora interesse da parte dei giovani verso la tradizione dei pupi?

Io non credo che sia un mestiere a rischio… Io ho un figlio di 35 anni che come me si dedica ai pupi con passione. Ha studiato musica e dà un tocco contemporaneo ad un mestiere tradizionale. E poi io dal 1997 ho aperto una scuola. Tania Giordano, per esempio, è una delle allieve che ormai è con noi da tanti anni. All’inizio gli studenti venivano soprattutto da fuori, mentre ora arrivano anche i palermitani e in generale i siciliani, che avevano perso questa tradizione perché nessuno gliene parlava.

Eppure è una tradizione lunga e ormai riconosciuta a cui lei si dedica da una vita. Fra pochi giorni compirà 70 anni, come festeggerà?

Festeggerò qui a Parma. Non esiste modo migliore per festeggiare se non essere ospitati in un luogo in cui ti senti desiderato. L’assessore della cultura (Michele Guerra, ndr) mi ha chiamò dicendomi: sei la prima persona a cui ho pensato. E così, per la bottega di via Macedonio Melloni, abbiamo portato il legno e il metallo per costruire il nostro pupo, un personaggio legato alla città di Parma, un pupo a regola d’arte, con la sua armatura in alpacca e rame, bianca e rossa, la collana e il vello di montone. Abbiamo scelto Ranuccio Farnese, quarto duca di Parma, vissuto nel Cinquecento perché ci sembrava che si prestasse bene a diventare un paladino.

I due spettacoli che presenta a Parma sono molto diversi…

A singolar tenzone (andato in scena sabato 17, ndr) è un cunto che faccio da solo e dove metto in pratica gli insegnamenti di Beppe Celano, di cui sono stato allievo negli ultimi suoi tre anni di vita. Dopo la sua morte, nel 1973, ho aperto un mio teatro e da allora è stato tutto in salita. I viaggiatori hanno iniziato ad apprezzarci, ed io cominciai ad uscire. Bologna, Milano, Berlino… e così ho superato anche gli anni di della crisi. Poi quando finalmente nel 2001 l’Unesco ha dichiaro l’opera dei pupi, orale e immateriale, un patrimonio da sostenere, direi che è stato raggiunto un traguardo importante.

A proposito di oralità di recente ha pubblicato anche un libro edito per Donzelli che raccoglie storie provenienti dalla sua memoria orale, giusto?

Sì certo. In questo libro – Alle armi, cavalieri! – raccolgo 107 storie di paladini che sentivo raccontare da mio padre, storie che conoscevo ma che non avevo mai letto sulla pagina scritta. Ad un certo punto mi sono messo davanti al computer e mi sono ricordato tutto, i nomi, le vicende ecc…

Tornando a Parma, invece, al Festival impertinente presenterà il 24 Aladino di tutti colori, che dimostra come la tradizione può essere anche molto contemporanea…

C’è un motivo ben preciso per cui ho scelto Aladino di tutti i colori e il motivo è che io voglio parlare ai giovani. I pupi sono il mezzo più antico che abbiamo in Sicilia, ma anche un mezzo di comunicazione che si è sempre aggiornato. Nello spettacolo Aladino di tutti i colori ci sono 5 bambini provenienti dai 5 continenti, un pensiero umano e poetico per i figli degli immigrati che nascono qui in Italia, qui crescono e studiano. Il mio vuole essere un messaggio di integrazione, la diversità dovrebbe essere vissuta come una grande opportunità. Un messaggio positivo, quindi, sopratutto per i ragazzi. Ecco perché il teatro dei pupi è antico e contemporaneo insieme.

Dopo Parma, quale sarà il suo prossimo progetto?

Sarà un viaggio epico…ad aprile inizierò un laboratorio per attori-narratori a Palermo sulla storia dell’antico monastero di clausura che verrà aperto al pubblico proprio per ospitare lo spettacolo che narrerà dei 700 anni di chiusura del monastero. Poi, dopo lo spettacolo, inizieremo una “crociata si pace”, andremo a Roma dal papa Francesco e infine ci fermeremo per cinque giorni a Roncisvalle per dire no alle guerre. Roncisvalle è il luogo simbolo delle battaglie e lì vogliamo dire no alle armi.

Quindi il teatro dei pupi diventa anche politico…

Ma certo, dobbiamo usare tutti mezzi che abbiamo a disposizione per lanciare i nostri messaggi. E’ il momento di agire. Questo è il mio modo di dire ai giovani: ribellatevi, fate sentire la vostra voce, da quello che vedo in giro – dalla situazione in Siria e non solo – ce n’è bisogno. Attraverso il canto e la musica anche noi possiamo raccontare quello che sta accadendo nel mondo e quindi dire: reagite!