Hai appena avuto l’occasione di presentare la retrospettiva romana dei film di Karen Shaknazarov, recentemente sei  stato in Russia e hai anche realizzato un documentario sulle assonanze tra Limonov e Pasolini. Da cosa nasce il tuo grande interesse per la Russia?

Dopo aver letto il libro di Emmanuel Carrère su Limonov mi è sorto l’interesse di capire qualcosa di più della Russia contemporanea. Come si arrivati alla società putiniana, attraverso quali percorsi. Ho poi avuto l’occasione lo scorso anno di girare per la Russia facendo conoscere i miei film, raggiungendo perfino le isole Curili, e ciò ha accresciuto ancora di più il mio interesse per questo paese. Vorrei costruire dei ponti con quel mondo e con quel cinema.

Hai qualche idea in proposito?

La rassegna di Shakhnazarov potrebbe essere il trampolino per organizzare una rassegna annuale del cinema russo a Roma. È una cosa di cui mi piacerebbe occuparmi. Conosciamo poco del cinema russo contemporaneo e loro conoscono poco della produzione italiana. Si potrebbe riprendere un filo interrotto dopo gli anni Ottanta tra i nostri due paesi. Crollato il mondo sovietico è scomparso dalla nostra visuale tutto un universo.

Qual’è il cinema sovietico che hai amato di più?

Sicuramente il grande Sergej Ejzenštejn. Fa parte della mia formazione. Il cinema come vera metafora della rivoluzione, il cinema che cambia il mondo, la rivoluzione che crea il cinema. Del resto per restare al rapporto con l’Italia, l’Urss in qualche misura nei primi anni Venti dialogò con la cultura fascista, pensiamo solo al rapporto tra i due futurismi…

Trotsky stesso ebbe un interesse appassionato per il futurismo italiano…

L’idea che lega, pur nella loro profonda diversità in quel periodo Russia e Italia è l’idea della rivoluzione come avvento della modernità di cui il cinema è l’arte per eccellenza per la sua velocità, per il suo carattere intimamente popolare e di massa. La stessa idea di rivoluzione che ora abbiamo un po’ perso per strada, di cui fatichiamo a capire i contorni e i soggetti, in quel periodo fu assolutamente centrale nel dibattito europeo e Ejzenštejn riuscì a traghettarla nel cinema. Pensa solo al suo film Ottobre, film politico ma che al contempo lo supera per imporre l’idea della necessità rivoluzionaria.

A proposito del rapporto tra Russia, Italia e rivoluzione so che esiste un progetto tuo e dell’editore Sandro Teti di scrivere un libro sulla figura di Francesco Misiano…

Per me è stato straordinario scoprire la figura di Misiano di questo italiano antimilitarista, anzi di questo calabrese antimilitarista, che attraversa la prima metà del XX secolo sempre in prima fila: prima come militante socialista che si ritrova a partecipare all’insurrezione di Berlino con Rosa Luxemburg e i suoi compagni e poi capace di raggiungere Mosca dove conoscerà Lenin di persona. Deputato, fondatore del partito comunista, questo calabrese sarà costretto all’esilio in URSS e quindi diventerà uno dei protagonisti nel tentativo di fondare una Hollywood russa. Celebre fu la sua avventura di raggiungere Berlino con nella valigia una copia dei film di Ejzenštejn che Misiano voleva assolutamente far conoscere al pubblico occidentale. E non dimeno la sua tragica fine di ribelle, emarginato nella cupa Mosca degli anni Trenta per “devazionismo trotskista”. Una vicenda eccezionale che mi piacerebbe diventasse un film.

Pensi quindi che questo libro potrebbe essere una vera e propria sceneggiatura?

Mi piacerebbe, abbiamo appena iniziato a lavorarci. Sarebbe un bel modo per dare un contributo per rileggere le relazioni tra Russia e Italia sul filo della grande storia.