Ballottaggio aperto per le elezioni presidenziali in Repubblica Ceca. Al primo turno arriva in testa il presidente uscente Miloš Zeman, che ha ottenuto circa il 39 percento dei voti. Lo sfidante sarà, secondo le attese, l’ex presidente dell’Accademia delle Scienze Jirí Drahoš, che ha ricevuto il 26 percento dei suffragi. La differenza di poco più del 12 percento è importante ma non abissale per Drahoš. Gli altri tre candidati civici con un profilo più o meno marcatamente anti-Zeman hanno raccolto infatti circa il 26 percento dei voti.

Un risultato sotto il quaranta percento è assai deludente per Miloš Zeman. Il presidente uscente è rimasto fortemente al di sotto del suo potenziale, stimato vicino al cinquanta percento. «Secondo le indagini demoscopiche, l’elettorato di Zeman è abbastanza monolitico, quindi non ci saranno molti voti nuovi» spiega il commentatore politico Petr Novácek. Il blocco elettorale di Zeman si concentra nei centri piccoli e medi, mentre nelle due grandi metropoli ceche, Praga e Brno, prevalgono fortemente le istanze contro l’attuale presidente. Ad esempio, a Praga Zeman ha raccolto solo il 22 percento dei voti arrivando secondo dopo Drahoš.

Da tempo Zeman punta molto sull’alleanza con il leader del movimento Ano 2011, il miliardario Andrej Babiš, diventato premier lo scorso ottobre. Durante la scorsa legislatura, quando ci furono tensioni all’interno della coalizione di governo, Zeman si schierò apertamente contro il vertice dei socialdemocratici, partito di cui fu a lungo segretario generale, e a favore di Babiš. Il presidente ha poi steso il tappeto rosso a Babiš garantendogli il reincarico governativo, qualora il suo primo governo non dovesse ottenere la fiducia della Camera. Non ha cambiato l’indirizzo presidenziale neppure il fatto che su Babiš grava l’indagine su una possibile truffa ai danni dell’Unione Europea.

Il tandem Babiš-Zeman spaventa una parte non piccola degli elettori, non per forza tutti appartenenti alle famose «élite liberali», mentre Drahoš sembra garantire un profilo maggiormente indipendente.

Un altro punto che sfavorisce il candidato uscente è il carattere stesso del ballottaggio. Il secondo turno è essenzialmente un voto contro. Ne sanno qualcosa Emanuel Macron, il presidente austriaco Van der Bellen ma anche quello slovacco Andrej Kiska. Cinque anni fa Zeman riuscì a imporsi anche grazie al fatto di essere considerato il candidato contro l’allora governo di destra. Dopo cinque anni è Zeman l’uomo da abbattere per circa la metà del Paese, che è la più motivata nel voto.

«Miloš Zeman rimane tuttavia un candidato molto forte» sostiene Petr Novácek. Il presidente è sicuramente in sintonia con una parte rilevante della società ceca su temi come le migrazioni e i rifugiati, cui è fortemente contro, è per un approccio prudente all’integrazione europea e manifesta una sostanziale avversità a temi come l’ecologia, il femminismo o il multiculturalismo. Da presunto tribuno del popolo Zeman ha deciso di mettere la sua indubbia abilità politica al servizio di alcuni dei peggiori istinti presenti nella società ceca. Zeman fu negli anni Novanta il primo oppositore di sinistra al neoliberismo imperante per diventare, vent’anni dopo, uno degli artefici dello scivolamento a destra dell’opinione pubblica ceca.

Dall’altra parte Jirí Drahoš darebbe all’attuale disastro sociale solo una parvenza di normalità. Sconosciuto fino a pochi mesi fa, lo sfidante ha puntato molto sul suo profilo basso e il civismo. Ma su molti temi, come quello dei rifugiati o anche dell’integrazione europea, Drahoš e Zeman hanno opinioni molto simili. Nel centesimo anniversario della nascita della Cecoslovacchia, non mancheranno paragoni con Tomas Masaryk, il primo presidente cecoslovacco e professore come Drahoš. Ma a differenza di Masaryk, che nella vita civile si spese in numerose campagne d’opinione contro i lati più deleteri della società di allora (come l’antisemitismo), Drahoš è un uomo abituato a nuotare secondo la corrente.