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Milorad Pavic, prismi dalla dissoluzione di un falso storico

Milorad Pavic, prismi dalla dissoluzione di un falso storicoMarc Chagall, «Crocifissione bianca», 1938 (particolare)

Storie di religioni Milorad Pavic suddivide ironicamente il suo romanzo «Dizionario dei Chazari» in tre vocabolari che attribuiscono differenti esiti alla dibattuta conversione del popolo caucasico: da Voland

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 15 novembre 2020

Ucronia e romanzo giallo, pastiche storico e affabulazione labirintica si ritrovano nel Dizionario dei Chazari, che lo scrittore serbo Milorad Pavic diede alle stampe nel 1984 in due versioni, una femminile e una maschile, differenti tra loro in un unico paragrafo. Pubblicato da Voland (dopo una edizione Garzanti esaurita da tempo, in una nuova traduzione di Alice Parmeggiani, pp. 357, € 20,00) nella sua «copia femminile», questo romanzo-lexicon in mille parole rende ogni cosa presente, fuorché il presente. Il tempo non procede, si torce attorno alla vicenda enigmatica e mitica dei chazari, popolo di probabile origine turca, altrettanto probabilmente stanziato nell’area caucasica ma scomparso dalla geografia e dalla storia un istante dopo la propria conversione in massa.

Molte ipotesi sono state fatte sulla religione alla quale si convertirono i chazari tra l’VIII e il IX secolo, in particolare è nota – tristemente, viste le varianti ad uso politico che ne sono derivate – quella formulata da Arthur Koestler che diceva fosse l’ebraismo, finendo per identificare i chazari con una «tredicesima tribù», rispetto alle dodici di Israele, coincidente con gli ebrei dell’Europa orientale.

La nuova fede
Pavic è più raffinato e, come nella favola dei tre anelli popolarizzata da Lessing, istruisce il lettore sull’esistenza di una verità, che nessuno – nemmeno il narratore – sa localizzare: chi tra il cristiano Cirillo, il musulmano Farabi ibn Kora e l’ebreo Isaak Sangari riuscirà a convincere il sovrano chazaro ad abbracciare la nuova fede?

Il romanzo tace ed è a quel punto che le tre figure «trasmigrano» nel tempo, in un procedere secondo le movenze dell’eterotopia di Borges, più che dietro vere e proprie linee narrative, ricomponendo a oltre un secolo di distanza una nuova triade – Avram Brankovic, Jusuf Masudi e Samuel Coen – che, nel cuore della guerra tra Serbi e Turchi, nel 1689, si ritrova per riflettere sulla sorte chazara oramai persa nelle nebbie del tempo.

Pavic gioca scomponendo e ricomponendo il suo «falso storico» in tre diversi dizionari – rosso, verde, giallo – scritti in greco, ebraico, arabo, rilanciando la mano su «originali» che a loro volta si scompongono e rimandano, in un processo indefinito e probabilmente infinito, ad altri supposti originali.

I tre dizionari, come le triadi di personaggi, si muovono spinti da forze centripete e centrifughe insieme: gravitano nel tempo, come le loro verità. Tutte presenti, vive finché si scontrano. Morte, quando viene meno la relazione o il conflitto. Tutte le «verità» hanno comunque un senso in questa stasi, ma nessuna possiede quello ultimativo. Pavic lascia intendere che non vi è possibilità alcuna di scoprire un dato reale sui chazari, né sulla loro conversione, né sulla loro dispersione.

Ritardi dell’eternità
«Il tempo – commenta ancora Pavic, in pagine dove riscrive la genesi dell’Adam Kadmon kabbalistico – è solo quella parte di eternità che ritarda». Come ha scritto Jovan Delic, non è la linea e nemmeno il circolo, ma il prisma il modello logico-concettuale che muove il romanzo. Ogni elemento della triade (i tre dizionari, i tre teologi, i tre contendenti, le tre epoche nelle quali si dipanano i racconti) esiste solo nella relazione con un altro assente, il popolo chazaro, e il suo centro vuoto: il dizionario, il libro.

Anche la temporalità degli eventi sembra muoversi seguendo questa logica: il piano medievale e quello moderno sono rappresentati da due strati tematici del romanzo, cioè la base superiore e inferiore del prisma, mentre il piano mediano è seicentesco. Tra un livello e l’altro del prisma – ha osservato un’altra attenta interprete, Jania Jerkov – i rapporti sono dinamici e l’autore li dipana abilmente in un’ars combinatoria geometrica e fantasmagorica.

Come un prisma scompone la luce, così la combinatoria di Pavic disloca il proprio oggetto e lascia infine solo il lettore con il proprio desiderio di saperne di più sulla conversione chazara. Ironico, Milorad Pavic si rivolge a quel lettore ideale così: «non occorre neppure la clessidra dentro il libro, a ricordargli quando si deve cambiare il modo di leggere».

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