Se siano davvero coinvolti nella vicenda i due fratelli libanesi arrestati a inizio settimana non è ben chiaro. Di loro le autorità di Beirut hanno raccontato pochissimo, senza spiegare se abbiano agito da soli, cosa assai improbabile, nel tentativo di contrabbandare 5,3 milioni di pillole di Captagon – un tipo di anfetamina popolare tra i giovani benestanti del Medio Oriente, in particolare del Golfo – nascoste in una spedizione di melagrane e scoperte il 23 aprile dall’antinarcotici saudita all’arrivo nel paese. L’accaduto ha provocato l’immediata reazione delle autorità di Riyadh che hanno vietato l’importazione di prodotti agricoli libanesi, gettando nella disperazione i contadini del paese dei cedri.

Il 22% delle esportazioni di frutta e verdura del Libano è assorbito dall’Arabia saudita e la misura punitiva aggrava gli enormi problemi economici del paese – le riserve di dollari sono quasi esaurite e la valuta nazionale ha perso circa il 90% del suo valore dalla fine del 2019 – con un governo dimissionario dalla terribile esplosione dello scorso agosto al porto di Beirut e con scarse prospettive di poterne formare uno nuovo nel futuro immediato. L’accaduto ha avuto però un effetto positivo per i consumatori libanesi che da qualche giorno trovano nei mercati i prodotti della terra a prezzi inferiori del 40%. Non poco per chi fa i conti ogni giorno con il carovita. Non sorridono invece gli agricoltori che vedono colpita la loro fonte di reddito in un momento tanto difficile.

Perciò è sceso in campo il ministro dell’interno libanese, Mohamed Fahmy, ad assicurare ai sauditi che Beirut sta facendo il possibile per fermare il traffico di stupefacenti diretto verso Riyadh. Fahmy se n’è andato in tour nella regione di Akkar, a nord della valle della Bekaa, dove attraverso il confine con la Siria dilaga il contrabbando di ogni tipo di merci, dalla droga al carburante fino ai generi alimentari. E davanti alle telecamere della Mtv ha dichiarato che «L’indagine sul Captagon contrabbandato in Arabia saudita si sta avvicinando alla conclusione. Abbiamo arrestato due fratelli coinvolti nel crimine». Riyadh non arretra e ripete che il divieto all’importazione rimarrà in vigore fino a quando il Libano non fornirà «garanzie adeguate e affidabili» sulla lotta ai trafficanti di droga.

Fehmi ha aggiunto che «non può confermare che il movimento sciita Hezbollah sia coinvolto» nell’invio del Captagon. Non è quello che desideravano ascoltare i sauditi che del traffico della droga fanno una questione politica. Riyadh vuole che l’indagine in corso in Libano sfoci in un atto di accusa aperto contro Hezbollah, tra i suoi principali avversari nella regione e alleato della Siria e dell’Iran. Mai come in questi giorni i media controllati dalla monarchia Saud hanno ricordato il maxi-sequestro compiuto lo scorso luglio dall’Italia della più grande spedizione di Captagon mai registrata, del valore di un miliardo di euro e proveniente dal porto siriano di Latakia. A fine aprile la tv al-Arabiya ha riferito con altrettanta enfasi che la Grecia, con l’aiuto saudita, aveva sequestrato 4,3 tonnellate di cannabis nascoste in macchinari per la produzione di dolci, in viaggio dal Libano alla Slovacchia. Per questo anonimi funzionari governativi libanesi dichiarano ai giornali locali che il divieto all’import sembra essere di natura politica più che un mezzo per la lotta al traffico degli stupefacenti nella regione mediorientale.

Le ricche petromonarchie del Golfo, a cominciare proprio dall’Arabia saudita, sono state finora restie a offrire aiuti concreti per alleviare i problemi economici di Beirut. E lo resteranno sino a quando Hezbollah non sarà estromesso dal governo, isolato politicamente e ridimensionato militarmente. Una condizione condivisa dagli Stati uniti che invece la Francia trova impossibile da soddisfare: il movimento sciita rappresenta una porzione importante di cittadini libanesi e in ogni caso non è disposto a farsi da parte lasciando campo libero ai suoi avversari.

Hezbollah da lungo tempo è accusato da Washington e dai suoi nemici di essere un elemento centrale nel traffico di droga multimilionario tra Libano e Siria per garantirsi i proventi necessari per il suo sostentamento. Accusa che, almeno in parte, è fondata poiché i combattenti sciiti si muovono lungo tutto il confine con la Siria e sanno bene dei traffici in corso da quelle parti. E la Valle della Bekaa, anch’essa sotto il controllo di Hezbollah, è ben nota per la produzione di cannabis alla quale si sono riconvertiti – dopo le campagne governative antidroga degli anni passati – parecchi contadini libanesi per assicurarsi la sopravvivenza. La produzione e traffico di stupefacenti, incluso il Captagon, secondo varie fonti è ormai una fonte di sopravvivenza anche per i siriani che fanno i conti con le conseguenze della guerra e delle sanzioni internazionali. Al-Qusayr, Homs, le montagne aride di Qalamoun, Al-Suwaida, Daraa, Quneitra e la provincia di Damasco sono le aree siriane dove si producono e trafficano gli stupefacenti. Esercito e forze di sicurezza lasciano fare sapendo che la droga che viaggia su veicoli pubblici e privati porta denaro nel paese. Ma anche i jihadisti ribelli contribuiscono in modo significativo al traffico di droga per garantirsi fondi aggiuntivi a quelli che ricevono dai loro alleati nella regione.