Lo scorso 13 aprile Milano, dopo i periodi più bui e tristi della pandemia, ha deciso di ricominciare a sorridere, augurandosi anni futuri di successo. Ci si è fatti una semplice domanda: Qual è il posto di Milano? La risposta è stata quasi lapidaria: Nel Mondo.

E questo, grazie soprattutto a tre semplici e determinate parole: Salute, Innovazione e Cultura. Ovvero, grazie alla ricerca di benessere per le persone, grazie alla capacità di attrarre ed essere interessante per nuovi talenti, e di vincere le tante sfide per l’innovazione.

Così in corso di Porta Romana è stato presentato il libro Sognare Milano, con scritti di più di trenta personalità del mondo milanese, tra artisti, imprenditori, sociologi, psicologi, giornalisti, urbanisti, attivisti. Tutti invitati a raccontare la Milano che sognano di poter vedere tra 10 anni.
Preparato e realizzato durante le inizialmente inaspettate difficoltà della pandemia, questo libro cerca di dare nuove priorità, rimanendo un respiro di auto-incoraggiamento verso quello che verrà. C’è stato un prima. E poi, speriamo, di essere finalmente arrivati anche a quel «dopo», a cui tutti abbiamo sperato di arrivare velocemente.

Milano viene riconosciuta allora come simbolo dell’Italia intera e, riscoprendo che il futuro appartiene soprattutto al mondo della Salute e delle Scienza della vita, impariamo di nuovo – o forse addirittura per la prima volta – che la salute, prima di tutto, è il fattore chiave per la vita di una qualsiasi società. Avere un Servizio Sanitario presente, capace, veloce, e accessibile a tutti, «significa anche promuovendo un contesto di vita sano e attento alle persone più vulnerabili», dice Alessandro Del Bono di Istituto Gentili.
«La pandemia ha evidenziato il valore della salute per la tenuta del sistema economico e sociale. Milano è una delle aree in cui più si fa sentire la presenza del comparto della Scienze delle Vita con il suo portato di ricerca, innovazione tecnologica e occupazione qualificata, tutti elementi che costituiscono le basi su cui fondare un futuro promettente per le nostre città e per il Paese». Ed è stato proprio Pier Giuseppe Pellicci, direttore ricerca dello IEO (Istituto Europeo di Oncologia), che sottolinea che «per assecondare l’ambizione di crescita della città ed essere davvero competitivi su scala globale, dobbiamo puntare sulla capacità di attrarre talenti e finanziamenti. Ciò significa concentrarci sulle nostre eccellenze – Università, centri di ricerca, ospedali all’avanguardia – e promuovere lo sviluppo di una città ‘facile’, dove si parla inglese, dove la mobilità non è un problema, dove l’accesso all’amministrazione è diretto, senza trafile burocratiche…». Esatto, calcolando che molto, se non tutto, nel futuro si baserà sulla tecnologia robotica e ogni tipo di intelligenza artificiale.

Inutile illudersi che la competitività non diventi sempre più necessaria. L’obiettivo finale è anche quello di condividere i saperi. Sempre, ovviamente, superando ogni confine nazionale (nonostante la guerra Russia/Ucraina fosse già ed è ancora presente), avevano spiegato in conferenza i due curatori Andrea Franchini e Fulvio Palmieri. Avevano detto che comunque il futuro era – e ci auguriamo lo sia già sempre di più – quello di una metropoli globale, condotta sia dall’innovazione che dalla nuova imprenditoria. Nodo fondamentale, per oggi e anche domani, sarà di non dimenticare mai la propria forte identità di città dell’umanesimo perenne, tra profitto e solidarietà.

Eh già, Milano – ricordano i personaggi presenti in sala – è anche la città della solidarietà, e quindi sarà proprio la rivoluzione dell’umanità ad aiutare la città a rinascere. Bastano forse già solo le parole semplici e dirette di Giangiacomo Schiavi, storico giornalista e anche vice direttore del Corriere della Sera, che ha presentato questo progetto di rinascita, dicendo semplicemente: «il Covid ha picchiato duro, su un città diventata, dopo Expo, capitale nel mondo. Milano si è scoperta più fragile e più sola, ma come altre volte nella storia è chiamata a reinventarsi con le coordinate del futuro, dell’ambiente e del digitale, della sanità e della tecnologia. A dare la spinta decisiva sarà la capacità di unire tradizione e innovazione con il civismo e la solidarietà. A fare la differenza saranno università, cultura e ricerca».

«È stato detto che la storia ci insegna che si può cambiare, ha detto Stefania Bartoccetti (che trent’anni fa creava Telefono Donna, per dare assistenza gratuita a donne maltrattate), e «nella storia e nella cultura ci sono i segni del sogno che si può compiere, un mondo in cui le donne sono libere di realizzarsi e di decidere per sé e per gli altri. Le donne hanno vissuto sulla loro pelle gli effetti della pandemia, che ha pesato sulle proprie condizioni psicologiche, famigliari e lavorative. Il futuro che sogniamo è già accaduto diversi secoli fa in Inghilterra, quando Elisabetta I è salita al trono e, più tardi, quando nel corso dell’investitura di Elisabetta II, il marito Filippo si è inginocchiato in mondovisione, rompendo un tabù».

Alla conferenza, e anche nel libro, ci sono così i racconti di quella Milano, che cura, crea, studia e accompagna la città verso i mille nuovi traguardi del futuro. Anche come Ernesto Pellegrini che dal 2014, dal mondo dell’imprenditoria e dello sport, ha deciso di aprire, tramite e grazie la sua fondazione, il ristorante Ruben, che ogni sera serve 350 pasti al prezzo di 1 Euro.

C’è poi l’interessante lavoro del fotografo Matteo Cirenei che, attraverso la sensibilità datagli dalla laurea in architettura, sviluppa progetti visivi osservando e raccontando Milano attraverso scatti suggestivi di architetture milanesi e paesaggi urbani. «L’idea che la città si sarebbe evoluta in un sistema di comunicazioni sociali, anche in vista della transizione in atto in una società post-industriale, mi ha fatto vedere il mutamento anche da un’altra ottica. E se ben guardiamo cosa è successo negli ultimi quindici anni, ci rendiamo conto che parte di queste idee si stanno realizzando nella nostra città. Dalle prime pedonalizzazioni del centro, si è via via passati a sperimentarle in altre zone, vincendo le iniziali riluttanze (…), poi scoprendo che una città a misura d’uomo, generava una nuova vivibilità che avrebbe portato un nuovo benessere per il quartiere (…). Dobbiamo sognare che ogni bambino di domani possa andare a giocare con gli amici nel prato senza rischiare la vita attraversando e senza soffrire per l’inquinamento».
Paola Briata, che al Politecnico si occupa di pianificazioni e politiche urbane, studia proprio gli intrecci tra dinamiche spaziali e sociali, mentre l’attivista di Friday for Future Andrea Ascari, chiede un cambio radicale di sviluppo basato sulle irrispettose e pericolose estrazioni di materie prime in ogni territorio del mondo.

Un incontro quasi inaspettato, ma tanto necessario, in cui Milano e le tante persone che la abitano – arrivando da ogni angolo dello stivale e del mondo – si spera si impegnino insieme, e questa volta davvero insieme, a pensare un «Tra dieci anni» dove questi ultimi quasi tre anni resteranno un monito concreto da cui imparare.