Uomini in piedi sul ponte scoperto di una barca in legno che tirano fuori dallo spazio sottocoperta altri uomini, ma privi di vita. Quindici corpi con gambe e braccia penzoloni, stesi sull’imbarcazione che avrebbe dovuto portarli lontano dall’inferno libico. Le immagini diffuse dal sito Libya Observer mostrano meglio di qualsiasi parola l’orrore che va in scena nel Mediterraneo. L’ultima strage è avvenuta tre giorni fa a meno di 15 chilometri dalle coste di Zuwara, ne avevamo dato notizia ieri. Il video riguarderebbe quel tragico episodio.

Il centralino Alarm Phone (Ap) aveva lanciato l’allarme lunedì mattina intorno alle 9, parlando di 105 persone in pericolo e chiedendo un soccorso immediato. A un certo punto, dalle informazioni ricevute, sembrava che la barca si fosse ribaltata. La sedicente «guardia costiera» libica, però, è arrivata molte ore dopo, quando per i migranti che viaggiavano nella parte interna non c’era più nulla da fare: asfissiati. Le immagini sono girate dalla motovedetta, che dovrebbe essere la Sabratha 654 regalata da Roma a Tripoli nel 2010.

PER AP TRA L’ALLARME e il soccorso sono passate 10 ore, nonostante i migranti fossero vicino alla costa. «Questo caso, come tanti altri, mostra che il fine della cosiddetta guardia costiera libica è di impedire alle persone di raggiungere l’Europa. Possono affogare o essere respinte, l’importante è che non tocchino il suolo europeo», accusa Ap su Twitter. Nel frattempo a Bruxelles si discute di un nuovo sostegno alle autorità nordafricane, forse un premio per il record di intercettazioni in mare: 26.314 fino al 9 ottobre scorso contro le 11.891 di tutto il 2020. La Commissione starebbe per donare nuove motovedette, dopo averne recentemente riparate tre.

I MORTI, COMUNQUE, sono anche a terra. Un venticinquenne sudanese, fuggito dal conflitto del Darfur, è stato assassinato nella notte tra lunedì e martedì davanti al Community Day Centre (Cdc) dell’Unhcr di Tripoli. Migliaia di rifugiati sono accampati lì davanti da dodici giorni per chiedere di essere protetti ed evacuati. La protesta è esplosa dopo i rastrellamenti nel quartiere di Gergaresh che hanno portato alla detenzione di 4/5 mila persone. L’omicidio è avvenuto davanti alla folla, da parte di uomini libici a volto coperto che hanno colpito e poi sparato il ragazzo. Poche ore prima c’era stato un incontro tra una delegazione di migranti, l’Unhcr e il ministro dell’Interno libico, che si è lamentato dei problemi causati dall’accampamento e ha proposto il trasferimento nel centro di prigionia di Ain Zara. «Abbiamo rifiutato e dopo è stata usata violenza contro di noi», racconta a il manifesto un ragazzo che dal 2 ottobre è in strada. L’Unhcr si è detta «profondamente angosciata» per l’accaduto.

FUORI I RIFUGIATI sono uniti nel chiedere l’evacuazione verso un paese sicuro. I voli delle Nazioni Unite, però, sono bloccati da tempo per decisione delle autorità libiche. L’ultimo è stato annullato il 12 agosto dopo che le persone avevano già lasciato le impronte e fatto il tampone. Sarebbero dovute andare in Niger, ad attendere il ricollocamento. Di recente ci sono state timide aperture alla possibilità di riprendere questi trasferimenti, ma le procedure sono lunghe e tanti altri sono in coda da tempo. Quei voli non potranno soddisfare i bisogni di chi protesta. Servirebbe uno scatto di dignità dei paesi europei, come avvenuto per i profughi afghani. Ma all’orizzonte non c’è nulla. È invece concreto il rischio di nuove violenze da parte delle autorità libiche.

INTANTO più a nord, nel mare tra Italia e Tunisia, Ap ha lanciato un nuovo allarme: 97 persone partite dalle isole di Kerkennah sono in pericolo.