Michelle Bachelet vince, ma non al primo turno. Domenica, in Cile, l’ha votata il 46,67% dei 6.691.840 aventi diritto che si sono recati alle urne per eleggere presidente, deputati parlamentari e regionali e parte dei senatori. Per evitare il secondo giro, il 15 dicembre, la candidata socialista avrebbe dovuto totalizzare il 50% più uno. Una percentuale superata solo dall’astensionismo, che ha interessato oltre la metà dei 13,5 milioni di elettori attesi (alle ultime comunali, era rimasto a casa circa il 60%). Nel 2009, quando il voto era obbligatorio, hanno votato 7,2 milioni di cileni.
Sopra la media, rispetto ai sondaggi che la davano intorno al 14%, Evelyn Matthei, rappresentante della destra. L’ex ministra del lavoro nel governo in scadenza di Sebastian Piñera, ha invece ottenuto un po’ più del 25%. Buon terzo posto per il leader del Partito progressista, Marco Enriquez-Ominami, che ha superato le previsioni sfiorando l’11%. Subito dopo, l’economista «socio-liberale» (come si definisce), Franco Parisi, un indipendente che ha confermato le intenzioni di voto, superando di poco il 10%. Tutti sotto il 3% gli altri 5 candidati, alcuni dei quali posizionati a sinistra. Ominami, figlio di un oppositore ucciso dalla dittatura militare di Pinochet, ha già dichiarato che appoggerà al secondo turno la candidatura di Bachelet, la cui vittoria tra un mese non sembra in questione.
L’appoggio di tutte le componenti progressiste sarà però determinante perché il programma del nuovo governo non rimanga nelle intenzioni. Le promesse di Bachelet riguardano tre grandi temi: la riforma dell’istruzione, il regime tributario (aumento dal 20 al 25% della tassa alle imprese in 4 anni) e una nuova Costituzione. Quest’ultimo punto – variamente declinato dai candidati – è stato al centro della campagna elettorale e ha trovato cittadinanza nelle urne attraverso il voto simbolico che gli elettori hanno potuto apporre sulla scheda sbarrando la sigla Ac: che sta per Assemblea costituente. Una via auspicata dai movimenti e dalla sinistra più radicale che puntano sulla partecipazione popolare per interpretare il vento di cambiamento nel paese.
Bachelet non ha voluto spaventare la destra della Concertacion (i cui vertici hanno accettato obtorto collo di proporla alle primarie, per via della sua forte popolarità), né altri possibili alleati del campo moderato. I suoi portavoce assicurano che l’ex prigioniera politica sessantadueenne non è attirata dal rosso che spira in una parte del continente latinoamericano: più che al socialismo del XXI secolo di Maduro e Morales, guarderà al modello brasiliano. L’ex presidente brasiliano Lula da Silva le ha manifestato il suo sostegno con un video, come aveva fatto per l’elezione del presidente venezuelano Nicolas Maduro e come ha ripetuto anche per la candidata alle presidenziali honduregne del 24, Xiomara Castro, di Libre.
Comunque, Bachelet dovrà affrontare alcune questioni spinose proprio in ambito regionale, come la richiesta di sbocco al mare della Bolivia o quella del Perù. Ha assicurato che non vuole problemi «con i vicini», e già prima di concludere il precedente mandato (2006-2010), la prima donna presidente del Cile aveva iniziato un dialogo sullo sbocco al mare con il suo omologo boliviano Evo Morales.
Per impulso dei movimenti studenteschi e sindacali che hanno animato le proteste degli ultimi anni e rivitalizzato anche la vita politica della sinistra tradizionale, il programma di Bachelet questa volta è comunque più radicale. La candidata socialista ha cercato di evitare la polarizzazione del dibattito, ma questa è stata una campagna elettorale di portata inedita da 25 anni a questa parte: si è discusso di modello di sviluppo e riforme sostanziali che per la prima volta potrebbero produrre un vero cambiamento nell’architrave politico rimasto sostanzialmente intatto e imbalsamato dai tempi di Pinochet. La coalizione Nueva Mayoria, capitanata da Bachelet, è composta da 8 formazioni che vanno dal Partito socialista alla Democrazia cristiana alla Sinistra cittadina. E questa volta include il Partito comunista, che ha saputo capitalizzare l’internità alle proteste del 2011.
Con il Pc cileno è stata eletta la popolare leader degli studenti Camila Vallejo. E sono stati laureati dalle urne anche altri ex rappresentanti delle lotte studenteche, Giorgio Jackson, Karol Cariola, Gabriel Boric. Una presenza che peserà nel sostenere la promessa di Bachelet di ridurre le disuguaglianze sociali in un paese in crescita ma in cui il 5% più ricco della popolazione guadagna 257 volte di più del 5% più povero. Bachelet ha vinto in 15 regioni, in 9 con maggioranza assoluta. Matthei ha invece ottenuto il suo miglior risultato (29,3% contro il 49,4% di Bachelet) nella Araucania, la regione storica dei nativi mapuche, che aspettano al varco le nuove promesse di Michelle Bachelet.