Il Cile va alle urne domenica. I candidati e le candidate – alla presidenza, al parlamento (si rinnova anche un terzo del senato) e alle regioni – hanno chiuso ieri la campagna elettorale. Michelle Bachelet, la prima donna presidente che ha governato il paese dal 2006 al 2010, corre per il cartello di opposizione (centrosinistra) Nueva Mayoria ed è favorita da tutti i sondaggi sugli altri 8 aspiranti alla presidenza. La sua più diretta rivale, Evelyn Matthei – sostenuta dal capo di stato in scadenza, Sebastian Piñera, di cui è stata ministra del lavoro – è candidata per la coalizione di centro-destra, Alianza. Secondo i più recenti sondaggi, riceverebbe il 14% delle preferenze. Al terzo posto nelle intenzioni di voto (10%) figura Franco Parisi, un economista indipendente che si definisce «socio-liberale», seguito dal leader del Partito progressista, Marco Enriquez-Ominami (7%). Gli altri 4 non arriverebbero all’1%, seppure volti nuovi come quello di Roxana Miranda, del Partido igualdad, appoggiata da lavoratori e sindacati, e portatrice di un programma che parla di «autogestione, governo del popolo e Assemblea costituente» promettono di riservare qualche sorpresa. Bachelet protrebbe anche farcela al primo turno, ed evitare così la seconda consultazione, il 15 dicembre. Per riuscirci, dovrebbe però totalizzare oltre il 50% dei voti in questa scadenza elettorale a cui sono chiamati 13,5 milioni di cileni, per la prima volta in modo volontario, ma che potrebbero disertare significativamente le urne, come in passato.
Le biografie di alcuni candidati fotografano la storia drammatica del Cile, l’eredità pesante della dittatura pinochettista che ha insanguinato il paese dal ’73 al ’90. Bachelet, che ha conosciuto la tortura del regime militare, è figlia di un generale morto in carcere in quegli anni bui. Anche la sua avversaria, Matthei, è figlia di un generale – un tempo amico del padre di Michelle – ma poi schierato con Pinochet. E il padre di Ominami è stato un dirigente del Movimiento de izquierda revolucionaria (Mir), ucciso dalla dittatura il 5 ottobre del ’74. L’architrave del paese è peraltro ancora quello imposto ai tempi della dittatura: a partire dalla costituzione, rimasta sostanzialmente quella voluta da Pinochet l’11 marzo del 1981 per legittimare l’ordine economico dei Chicago Boys e far prosperare la giunta militare. Nel 2005, l’allora presidente Ricardo Lagos ha instaurato alcuni correttivi, come la possibilità da parte del capo di stato di poter destituire i vertici delle Forze armate o designare i senatori, ma la sostanza è rimasta, e un sistema politico bloccato ha impedito qualunque vero cambiamento.
È rimasto in piedi anche l’apparato securitario pinochettista e in base alla legge antiterrorista varata allora si continua a perseguire l’opposizione sociale. Particolarmente colpiti i nativi mapuche, che si battono per il recupero delle loro terre ancestrali e scontano la loro resistenza con pesanti condanne. Durante uno degli ultimi comizi che ha effettuato nella storica regione mapuche, l’Araucania (600 km a sud di Santiago), Bachelet ha rischiato di prendersi un cartoccio pieno di pittura in faccia: presumibilmente da attivisti mapuche, che le rimproverano di non aver fatto luce sull’omicidio del giovane Matias Catrileo, ucciso dalla polizia durante un’occupazione di terre, nel 2008.
I mapuche non sono però i soli a dichiararsi delusi dalla precedente gestione Bachelet, e quello che ha portato al ritorno della destra nella persona del miliardario neoliberista Piñera è stato anche un voto di protesta. Oggi, però, l’entrata in campo delle categorie sociali che hanno animato a lungo le piazze cilene nel 2011, e che oggi offrono all’ex presidenta un sostegno politico condizionato, può cambiare i termini della questione. I movimenti sociali vogliono dettare al nuovo governo una propria agenda.
Quattro leader studenteschi, protagonisti delle lotte che hanno dato uno scrollone alla sinistra tradizionale, si presentano a queste elezioni: alcuni – come Giorgio Jackson, che partecipa alle legislative come indipendente nel distretto di Santiago Centro per il movimento Revolucion Democratica – o Camila Vallejo – che corre per il Partito comunista – hanno buone probabilità di farcela. Tutti, chiedono una profonda riforma del sistema politico, educativo e finanziario: soprattutto, una nuova costituzione da realizzarsi facendo appello alla partecipazione popolare attraverso un’Assemblea costituente e non coi soliti bizantinismi istituzionali e d’apparato. Quasi tutti i candidati parlano di modificare la costituzione, ma il tema dell’Assemblea costituente definisce la portata della scelta e l’orizzonte.
Lo spettro, per la sinistra moderata, è quello del «socialismo del XXI secolo» che ha preso forma in altri paesi latinoamericani come il Venezuela, la Bolivia o l’Ecuador proprio sulla spinta di un’Assemblea costituente dettata dalla volontà popolare. Bachelet ha promesso di combattere le disuguaglianze, di varare una riforma scolastica e tributaria, e su questo punto ha dichiarato che intende realizzare una riforma «partecipativa, democratica e istituzionale», ma non ha fornito particolari sull’iter, che divide le forze in campo anche nella sua coalizione.