Non è la morte, non è la vita strappata anzitempo. Non occorre legarsi alla cronaca e ricordare che Michele Scarponi è morto. Occorre ricordare come è morto. Facendo attenzione alla prospettiva. Non è l’umana retorica della “tragica fatalità”. È – e sarà – ricordare dove è accaduto. Un dove che non è un luogo fisico, buono per fiori e cippi commemorativi e poco più. È un altrove più vasto, da scovare su mappe invisibili alla topografia, ma più essenziali.

Scarponi era tornato a casa la sera prima da una corsa a tappe, in cui aveva pure vinto, e vestito per un giorno “la maglia”. Scarponi è morto perché la mattina dopo, molto presto, si è alzato per andare ad allenarsi, perché quello era il suo lavoro. E non ti alzi presto la mattina dopo una corsa a tappe, se non ami il tuo lavoro. Voleva il pomeriggio libero per stare coi figli, dice, e era pure un fottuto sabato. Tutti riposano, il sabato. Lui invece si è alzato presto, e non può essere solo disciplina, o la responsabilità dei gradi di capitano della squadra all’imminente Giro d’Italia. Anche, ma non solo. Non è lo sport, non è la forma fisica, non la VAM, né la prestazione. Qui ci stanno di mezzo i sentimenti.

Una storia che forse avrebbe colpito Libertino “Tino” Faussone, aedo degli attrezzi del lavoro (e magari quel Lorenzo Perrone col suo muro fatto a regola d’arte nella Buna di Monowitz). E dunque avrebbe forse impressionato il loro padre letterario Primo Levi, celebrato proprio in questo aprile che segna i trent’anni dalla sua morte: «Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono. (in La chiave a stella). Asserzione che agitò molto, e molti, in quel ’78 di “rifiuto del lavoro”, dell’operaio-macchina asservito e alienato-sottopagato. Asserzione che oggi rischia di non avere strumenti di decodificazione, essendo la logica stessa del lavoro, ben prima dell’operaio/operatore, asservita ad altro e alienata da sé.

Ecco, Michele Scarponi, ciclista; e la morte di Michele Scarponi, lavoratore, sono il traduttore di questa frase in una lingua comprensibile per un giovane precario che nemmeno ha il tempo, di affezionarsi al suo lavoro (quale?). Per non dire dei mediocri miracolati che “basta che mi pagano”, per i timbratori di cartellino, per i burocrati di se stessi, tutti – nel migliore dei casi – in difficoltà come coi nodi marinari a legare “amore” e “il proprio lavoro” e questo nodo alla condizione di “privilegio”. Approssimare tutto questo alla “felicità sulla terra”, poi… Neanche i solutori più che abili, ché la “felicità sulla terra” è stata svenduta nei volantini delle offerte e diluita nei dress code dell’apericena giusto. Acquistabile.

Da punti contrapposti, viene alla mente l’uomo artigiano di Richard Sennett, si affacciano i fotogrammi di Dino Giuffré a imbullonare sui pali della luce tra le montagne (il “migliore amico” di Titta Di Girolamo/Toni Servillo ne Le conseguenze dell’amore), e risuona rabbiosa Contemporaneo di Fossati (in Lampo Viaggiatore): ma sono scintille elettriche di un cavo spezzato dalla tristezza, e come glielo dici, e che glielo diresti a fare, a Michele Scarponi?. Quanto piacerebbe adesso, credere nel paradiso, pensare a quella faccia sudata dalla fatica all’arrivo davanti a quella faccia da chimico che molto consapevole di quella scritta su quel cancello scriveva quella frase.

  • che hai combinato?

  • ho amato il mio lavoro.

  • di sabato mattina?

  • Eh.

E quanto sarebbe stato più forte il riverbero – simbolicamente e per gli editoriali – se Scarponi fosse morto per una buca scoperta nell’asfalto, o perché il ponte traballante su cui passava non ce l’avesse fatta più, nemmeno a sostenere la sua bici.

Ma questo è cinema. Resta l’accaduto, la banalità del caso. Resta l’attonito di un funerale, oggi alle 15:30 al campo di calcio di Filottrano, Ancona, tanta gente attorno alla moglie e ai figli a reggere come può il dolore ingiusto di un troppo presto. Il cordoglio delle parole, la curva maledetta, i perché. Ci si incarterà il pesce, tra qualche giorno, al massimo.

Dimenticare che Michele Scarponi è morto. Ricordare sabato 22 aprile 2017, mattina presto, Michele Scarponi che esce in bicicletta.