Michele Rabbia è un «residente di spazi», nel senso che quando suona li abita e li crea. Col suo drumming fortemente inventivo riesce a popolare di pattern ritmici e timbrici l’alveo musicale nel quale decide di collocarsi e allo stesso tempo è molto attento a «fare spazio», letteralmente, a non intasare troppo questi flussi, per lasciare sempre un giusto riconoscimento performativo alle pause e ai silenzi. Lo intervistiamo alla fine di un magnifico concerto al Torino Jazz Festival (una sorta di specchio riflesso tra i norvegesi Jan Bang e Harve Henriksen e gli italiani Roberto Cecchetto e, appunto, Rabbia). Ti...