Autore, ma anche sessionman delle immagini in movimento, conferisce uno stile visivo inconfondibile ai musicisti con cui lavora. Michele Bernardi (Finale Emilia, 1958), regista e animatore, ha alle spalle una cinquantina di video musicali –fra cui Tre allegri ragazzi morti, Punkreas, Zen Circus, Teresa De Sio, Gianna Nannini – pubblicità, pochi ma belli corti animati (Djuma, 2012, e Mercurio, 2018) con conseguenti riconoscimenti (Shanghai Tv Film Festival, Animaphix, Tindirindis a Vilnius, Sardinia Film Festival, Castelli Animati, Lucania Film Festival, finalista nei Nastri d’argento e semifinalista nel David di Donatello). Dal 2019 insegna animazione digitale all’Accademia delle Belle Arti di Palermo. A Bernardi, che ne firma anche il manifesto, la Mostra di Pesaro dedica un focus.

Chi se l’è presa per il video di Gianna Nannini «L’aria sta finendo» e perché?
Il video uscito a metà dicembre è rimasto nell’ombra per un mesetto fin quando alcuni sindacati di polizia, il Coisp in particolare (quello che contestava alla madre di Federico Aldrovandi di avere photoshoppato le foto del ragazzo insanguinato), si sono sentiti oltraggiati dalle immagini di poliziotti con facce da maiali. Ovviamente ci riferivamo ai noti fatti di Minneapolis quando un poliziotto bianco soffocò brutalmente un uomo nero. Però nel video ci sono anche riferimenti a Arancia meccanica e al capo di polizia dei Simpsons, Winchester, che riprende una comune stilizzazione del poliziotto nell’iconografia fumettistica. Dopo le denunce pubbliche dei sindacati di polizia, anche il Codacons ha minacciato querele nei confronti della Nannini, risolte, credo, in un niente di fatto. Certo è che tutti i video «rubati» da Youtube come riferimento per le animazioni di rotoscopio si riferivano a poliziotti americani, tedeschi e inglesi senza che ne volessimo veramente accentuare la provenienza.

Come è partito il tuo percorso fra i videoclip musicali?
È stato un incontro fortuito. Un pranzo con Igort a cui si aggiunse all’ultimo minuto Davide Toffolo, fumettista e leader dei Tre allegri ragazzi morti. Circa un anno dopo iniziai con il primo video musicale Occhi bassi la mia collaborazione con Davide, ma anche la lunga serie di quasi una cinquantina di videoclip musicali.

In che modo avete lavorato insieme?
I primi lavori Occhibassi, Quasi adatti, Signorina primavolta erano evidentemente frutto della fantasia e dell’immaginario di Davide e quindi rispecchiano il suo stile e sentire. Ma il nostro lavoro in simbiosi è sempre stato caratterizzato dalla sperimentazione e dalla ricerca di modalità e stili diversi, che ci aiutassero a raccontare meglio le nostre visioni. Ad esempio Quasi adatti (2001) era già completamente animato digitalmente con il software Flash, allora nuovissimo, che ci aveva permesso di creare piccole clip animate che potevano essere montate a piacimento dagli utenti e caricate direttamente su internet. Un altro esempio di sperimentazione su cui abbiamo lavorato insieme è stato Signorina primavolta dei Tarm, ma ancor prima Sono un’immondizia dei Prozac+ in cui per la prima volta abbiamo lavorato con la tecnica del rotoscopio, tecnica che poi ho sviluppato e perfezionato sempre di più fino ad ora.

Quanto ti condiziona il testo di una canzone?
Il testo è importante, ma forse la musica lo è di più. Non mi è mai piaciuto creare immagini legate al testo. Il testo serve soprattutto per crearmi un immaginario «poetico» che funzioni in parallelo con la canzone, con l’emozione che la musica mi trasmette. Cerco di essere sempre il più possibile lontano dalla didascalia. Se non in casi particolari, non lavoro mai su una sceneggiatura finita proposta da un autore musicale.

Di «Djuma» sei autore unico, con giusto l’apporto tecnico di Andrea Martignoni per la colonna sonora. Come cambia per te?
Andrea ha finalizzato la musica di Djuma e gli ha dato un tocco ancora più autoriale. In realtà la musica è stata realizzata quasi completamente da me che sono decisamente negato a suonare strumenti, utilizzando software musicali e di elaborazione dei suoni. Sempre, durante la lavorazione dei miei corti, sento la necessità di accompagnare scena per scena con le musiche del mio immaginario, e che generalmente «costruisco» io con i mezzi più improbabili che trovo a disposizione. Anche in Mercurio ho preparato personalmente la musica e i suoni perché mi aiutano a creare scenari più vicini al mio sentire. Solo ad animazione completata ho chiesto a Luca D’Alberto, amico, grandissimo musicista e violinista, di ricostruire sulla base emozionale della mia «musica» il brano di Mercurio. Tra l’altro ha vinto come miglior colonna sonora al festival del Cinema della memoria democratica di Madrid.

Mercurio è una breve storia-denuncia della repressione fascista durante il ventennio nero. In che modo l’animazione artistica può esprimere impegno civico e politico oggi?
L’animazione come qualsiasi altra forma artistica ha la capacità di arrivare e di imporsi a tutti i livelli della società. Oggi i media sono tantissimi e la divulgazione velocissima, anche con il rischio di bruciare tutto altrettanto velocemente. Ma è finito il tempo di considerare l’animazione come cinema di intrattenimento. Il diffondersi di festival e la presa di coscienza dell’importanza di questa arte (meno dalle istituzioni Italiane) ci aiuta a raccontare storie dall’alto valore civico e politico. Tre anni fa ho presentato Mercurio ad Animateka a Lubiana. Dopo la visione mattutina ho avuto un incontro con una quarantina di anziani sloveni. Tantissimi di loro erano commossi, quasi alle lacrime (che invece io non ho proprio trattenuto) perché il fascismo, quello nostro, se lo ricordavano benissimo.

Lavori in corso e progetti?
Sto finendo giusto ora un video in animazione sulla danza contemporanea per la Compagnia Zappalà Danza di Catania, e sto iniziando una bellissima serie di una trentina di episodi con personaggi irriverenti di Maicol&Mirco, però di questo non posso dire di più. Ma è divertentissimo.