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Michael Jackson, quella strana confusione tra l’arte e la vita

Michael Jackson, quella strana confusione tra l’arte e la vitaMichael Jackson

Cinema Le polemiche, le censure, i boicottaggi delle radio dopo la messa in onda su Hbo del documentario incentrato sullo scandalo e le accuse di pedofilia contro la pop star scomparsa dieci anni fa

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 6 marzo 2019

Leaving Neverland non è un film su Michael Jackson, non racconta la figura di quella che è stata una popstar planetaria, capace di vendere 110 milioni di copie con un disco solo come è accaduto per Thriller (1982), rimbalzato nei quattro angoli del pianeta, lasciando ovunque un segno indelebile. E nemmeno racconta le sue ossessioni, la chirurgia plastica, i mutamenti del corpo, la sua vita simile a un parco a tema, la sua Neverland – un po’ terra-che-non-c’è di Peter Pan – felice e inquietante come ogni fiaba. O meglio di quel luogo e di quell’esperienza restituisce solo lo scandalo, le accuse di pedofilia attraverso le voci di due presunte vittime di Jackson, James Safechuck, 41 anni, e Wade Robson, 36, che ricordano in due interviste fiume – il loro incontro col musicista quando avevano sette e dieci anni e gli abusi ai quali, in quel castello da sogno li avrebbe sottoposti.

IN REALTÀ nel 2005 durante il processo contro Jackson, Robson aveva scagionato il cantante per poi cambiare idea, nel 2013, chiedendo i danni. E lo stesso ha fatto Safechuck l’anno seguente.
Tutto questo però nel doc di Dan Reed non c’è, rimangono solo le accuse e i ricordi di due bimbi sedotti da quel «folletto» – col consenso dei genitori.

PRESENTATO al Sundance – ne ha scritto qui Giulia D’Agnolo Vallan – il film è andato in onda su Hbo domenica e lunedì scorsi scatenando una violenta reazione contro Jackson, quasi un linciaggio postumo (il cantante è scomparso nel 2009). La famiglia ha avviato una azione giudiziaria contro Hbo – chiedendo unn risarcimento di 100 milioni di dollari – che non bastano però a frenare la marea delle accuse. E nei dibattiti sul «livello accresciuto di coscienza grazie al #metoo», molte radio – dalla Bbc fino a ieri tre stazioni in Canada – hanno deciso di non trasmettere più le sue canzoni. Fa un certo effetto se si pensano alle immagini della sua morte di un lutto mondiale.
Ma soprattutto spaventa l’ennesima prova di confusione tra l’arte e la vita dell’artista, tra la morale e la censura. Brandire quest’ultima è terribilmente pericoloso.

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