«Mi considero fortunato ad aver potuto lavorare con Michael Chapman. Lui ed io abbiamo fatto tre film assieme: Taxi Driver, L’ultimo valzer e Toro scatenato, e a ciascuno di essi ha donato qualcosa di raro e insostituibile». Così Martin Scorsese ha ricordato Michael Chapman, il direttore della fotografia scomparso il 20 settembre e che per il suo lavoro a Toro scatenato nel 1980 – lo stesso Scorsese aveva ricordato che fu Chapman a insistere per il bianco e nero perché «il colore sminuiva le immagini» – è stato candidato all’Oscar. La seconda nomination sarebbe arrivata nel 1993 per Il fuggitivo di Andrew Davis.

COME SCORSESE, Chapman era newyorchese: nato nella città americana nel 1935, aveva debuttato nel cinema come operatore nel 1970, lavorando a Loving – Gioco crudele di Irving Keshner, Mariti di John Cassavetes e in seguito Il padrino di Francis Ford Coppola e Lo squalo di Spielberg. Il suo primo ruolo come direttore della fotografia arrivò invece con L’ultima corvè di Hal Ashby, nel 1973, seguito da Il prestanome (1976) di Martin Ritt, uscito nello stesso anno di Taxi Driver. Proprio con lo sceneggiatore di quel film, Paul Schrader, lavorò nel 1979 a Hardcore.

Fra gli altri registi con cui ha lavorato ci sono Ivan Reitman (Ghostbusters II, Sei giorni, sette notti, Un poliziotto alle elementari e Evolution), James Toback (Fingers), Joel Schumacher (Ragazzi perduti). Nel 1983 il suo debutto come regista: Il ribelle. E cinque anni dopo era tornato a lavorare con Scorsese per il video di Bad di Michael Jackson. «Ricordo quando uscì Taxi Driver – scrive ancora il regista a proposito di Chapman – e Michael fu soprannominato ’il poeta delle strade’ – mi pare fossero queste le parole, e le trovavo giuste. Michael era la persona che aveva il reale controllo sulla paletta visiva dell’Ultimo valzer, e in Toro scatenato la sua squadra è stata all’altezza di ogni sfida, e ce n’erano tante. Una delle più grandi era girare in bianco e nero, una cosa che Michael non aveva mai fatto prima. Il suo rapporto con la macchina da presa e la pellicola era intimo, misterioso e quasi mistico».