Doveva piovere tantissimo quel giorno e tirare pure un vento particolare, con un buon effetto «rimodellante corpi», migliore di qualsiasi crema in commercio.
D’altronde, resistendo alle intemperie da bufera la spigolatrice di Sapri, pur bagnata come un pulcino e con i vestiti appiccicati addosso a impedirle il passo spedito, se ne andava dritta come un fuso al suo lavoro quando vide la famosa «barca in mezzo al mare» di Carlo Pisacane e gli altri rivoltosi. Adesso non può che ergersi in piedi, con una leggera torsione del busto a guardia delle spalle, per controllare meglio se qualcuno la stia seguendo o no con la telecamera accesa, sicuramente per estorcerle un’opinione politica in merito alla spedizione ribelle. Ma lei ammicca e non dice.

Niente a che vedere con le antiche spigolatrici chine sui campi del francese Millet, quell’esponente del realismo ottocentesco che non faceva altro che mettere in scena donne rotte dalla fatica, testimonianze viventi del proletariato rurale. Afflato etico il suo, circonfuso di penombre meditative. Qui, invece, per la contadina patriottica la luce è accecante. Siamo in pieno giorno perché la modernità impone un cambio di passo: l’afflato allora è tutto erotico, di un erotismo televisivo, patinato, lo stesso che ci narcotizza e annoia ogni sera quando sfilano sullo schermo le seriali pubblicità delle macchine col «cliché donna» incluso.

A chi non viene da immaginare, infatti, un Suv nero pronto a sfrecciare accanto alla spigolatrice di Sapri scolpita da Emanuele Stifano? Lei, influencer accalappiaturisti, peraltro doppia la già esistente «sorella» sdraiata sullo scoglio dello Scialandro (la cui posa si ispira alla giovane distesa fra le rocce sorrentine dipinta da Filippo Palizzi). Tendenzialmente, i monumenti che ritraggono eroi e eroine (sparutissime) sono sempre di una bruttezza sconcertante. Lo sono già solo quando vengono pensati, prima ancora di essere realizzati. È nel loro dna essere fuori dal mondo e dai migliori esiti delle ricerche artistiche. A Roma, Anita Garibaldi dal Gianicolo almeno parte all’attacco agitando una pistola al cielo, nonostante tenga stretto al seno uno dei suoi figli.

Lo scultore della spigolatrice si è difeso dalle accuse di sessismo e di prospettiva anti-storica della sua statua sfoderando le ragioni del linguaggio contemporaneo che esula dal mimetismo. Ma la sua opera è una macchietta sbalzata fuori dall’immaginario  social dei «like». E dell’audace protagonista del poeta Mercantini cosa resta? «Mi feci ardita, e, presol per la mano,/ gli chiesi: ’Dove vai, bel capitano?’/ Guardommi, e mi rispose: ’O mia sorella, /Vado a morir per la mia patria bella’».