Dentro un ovale apparso in trasparenza nel buio, si muovono, compatti, undici uomini in pelli di pelliccia. Il rumore dei corpi spezza il silenzio mentre l’orchestra si accorda. Il respiro ha un ritmo in crescendo. Luce, musica. L’ovale si rivela: è un enorme brocca stilizzata, arancione come la terracotta. Contiene di nuovo gli undici uomini che, a sorpresa, indossano costumi in aderente tessuto tecnologico con disegni e colori sgargianti ispirati alle maioliche siciliane.

È QUESTO l’impatto de La giara, creazione in atto unico liberamente ispirata all’omonima novella di Luigi Pirandello su musica di Alfredo Casella per regia, coreografia e scene del catanese Roberto Zappalà, drammaturgia di Nello Calabrò, costumi di Veronica Cornacchini e Zappalà. Nuova produzione che ha debuttato al Teatro Regio di Torino dove, insieme a Cavalleria rusticana di Mascagni nella regia di Gabriele Lavia, resta in scena fino a sabato prossimo. Dirige orchestra del Teatro e tenore, Andrea Battistoni. La novella di Pirandello La giara, pubblicata sul Corriere della Sera nel 1909, ispirò nel 1924 la fortunata «commedia coreografica» (con danza e pantomima), commissionata dai Ballets Suédois di Rolf De Maré a Casella. Una partitura piena di colori, nazionale ma non puramente folclorica, una meraviglia da riascoltare che ebbe al debutto coreografia di Jean Börlin, costumi e scene di Giorgio de Chirico. Un pezzo in concorrenza con i Ballets Russes di Diaghilev, che lanciò nel guizzante mondo delle avanguardie europee un titolo ambientato tra le luci della Sicilia. Spettacolo ripreso nel 1957 da Aurelio Milloss con scene di Renato Guttuso. Zappalà, che alla sua terra dedica da anni il progetto contemporaneo Re-mapping Sicily, ha accettato la sfida con un approccio libero: la scena è un’enorme giara aperta, luogo che imprigiona ma anche protegge, in cui non danzano né Zi’ Dima, né Don Lollo, ma un’umanità al maschile senza nome che se nella scena del prologo accenna alla ruralità della novella, si apre poi a una visione simbolica e senza tempo che strizza l’occhio anche a Collodi.

LA SICILIA vive nei colori, nella musica; la danza opta per un ritmo battente, burattinesco, alternando agli unisoni per danze come il Chiovù, parti coreograficamente più sofisticate, con gli undici mossi in piccoli gruppi. Curiose le assonanze in primis musicali con Petrushka e Le Sacre di Stravinskij per un pezzo che riporta l’attenzione su serate miste di opera e balletto.