Metafore, giochi di specchi e simboli in «Ariadne auf Naxos»
Lirica Katie Mitchell firma la regia dell'opera di Strauss. In scena all’Archeveché fino al 16 luglio
Lirica Katie Mitchell firma la regia dell'opera di Strauss. In scena all’Archeveché fino al 16 luglio
La molteplicità dei piani di lettura e dei riferimenti ideali e simbolici, la complessità della drammaturgia di Ariadne auf Naxos, terza prova della collaborazione fra Richard Strauss e Hugo von Hofmannstahl, esercitano da sempre una forte attrazione sui registi. Katie Mitchell, che al Festival di Aix en Provence ha firmato in passato alcuni grandi successi come Written on Skin di Benjamin e Pelléas et Mélisande, si è tuffata nei viluppi di correlazioni musicali e letterarie che innervano l’opera per inventare una macchina registica a un tempo snella quanto sovraccarica di dettagli e simbologie, di diverso segno e efficacia.
Viene recuperata la presenza del borghese gentiluomo, come nell’originale stesura dell’opera del 1912, ma la coppia di mecenati, che non parlano più solo per bocca dell’inflessibile maggiordomo ( l’attore Maik Solbach ), fra il prologo e l’opera si scambiano misteriosamente d’abito, tornando in scena in lungo abito rosso l’uno, in smoking e tacchi l’altra. Non è la sola inversione sul genere operata da Mitchell, che scioglie il gioco ‘en travestie’ di gusto settecentesco e veste il compositore (l’intenso mezzosoprano Angela Brower) di reali panni femminili, rimescolando la valenza dei rapporti con il maestro di musica ( un ottimo Josef Wagner) e la subitanea relazione erotico-affettiva con Zerbinetta ( una tenera, luminosa Sabine Devieilhe – in senso pieno, visto che il suo cocktail-dress si accendeva a comando di lucette elettriche).
Anche la relazione fra Ariadne e Bacchus muta di segno, poichè la primadonna (l’imponente Lise Davidsen, voce splendida e doviziosa) appare vistosamente incinta, senza che ci venga mai davvero dissipato il dubbio che il bambino che nasce durante l’opera, prima del sonno che propizia l’arrivo di Bacchus, sia esso stesso il «piccolo dio» di cui parla il libretto, finzione scenica o frutto reale del rapporto col tenore ( Eric Cutler, molto a fuoco) che interpreta a sua volta Bacco sulla scena. Un sovraccarico di metafore e giochi di specchi, alcuni oscuri e distraenti, come le naiadi in corteggio mascherate da Ariadne incinta e le scatole luminose con cui Bacchus giocherella, impilandole e aprendole; altri riusciti, come l’energica figura del maestro di balletto (il bravissimo Rupert Chrlesworth effeminato in bilico su tacchi a stiletto, ma risolutivo mediatore dell’ «empasse» fra le due compagnie, costrette dal mecenate a presentare opera seria e opera buffa contemporaneamente.
L’impianto complessivo, scena fissa, una grande sala borghese divisa in due da una tenda sipario, l’isola di Naxos un tappeto da danza coperto di sabbia, ospita in modo funzionale la regia, che si adatta assai bene alle sottigliezze del canto di recitazione, specie nel prologo.
Marc Albercht cura i dettagli e i piani armonici della partitura con finezza, piuttosto ben assecondato dall’Orchestre de Paris, anche se il discorso musicale rischia di frammentarsi e talvolta le volute della scrittura straussiana perdono qui e là di sostegno. Successo pieno e ovazioni per i protagonisti, mentre fuori impazzavano cori e strombazzi per «le bleus» del calcio, veri protagonisti non invitati del festival. In scena all’Archeveché fino al 16 luglio.
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