Le mestruazioni sono uniche, nel senso di singolari, nonostante siano un fenomeno collettivo che riguarda milioni di donne al mondo. Malgrado la luna, a volte può capitare che i tempi non siano regolari.
In francese «les regles» – le regole – indicano sia quel complesso di norme che regolano un’esistenza sia le mestruazioni. Anche in italiano l’analogia è valevole ed è interessante leggere come Élise Thiébaut, giornalista e scrittrice parigina, si è apprestata a intessere una serie di corrispondenze tra questi due campi semantici solo apparentemente così contigui. Questo è il mio sangue (Einaudi, pp. 216, euro 14, traduzione di Margherita Botto), è un libro sul tabù delle mestruazioni, sulla genealogia della dominazione patriarcale e su come essa ha esercitato storicamente questo tabù contro le donne. È anche un manifesto che si oppone a questo tabù, come recita il sottotitolo al testo in italiano. Il saggio infatti, in forma narrativa e in tono ironico – grazie ai giochi di parole e ai calembour – rivela il profumo di una sapiente pozione di «collettivo» e di «personale», secondo la consapevolezza ideologica che anche la saggistica possa nascere «dal sé», dall’esperienza individuale.

QUESTO DESIDERIO di rivolta personale si trasforma in appello collettivo. Il libro di Élise Thiébaut, vuole essere infatti un invito rivolto alle donne, affinché guardino alla propria storia personale e all’esperienza in quanto soggetti coinvolti. La scrittrice – che è in Italia per Tempo di Libri, a Milano – affronta tutte le ipotesi che le sembrano necessarie affinché le donne possano acquisire le conoscenze storiche e i rudimenti antropologici per potersi opporre ai ruoli che sono stati loro assegnati e riescano a riconoscere il tabù che le riguarda, a intravedere attraverso la fitta rete di luoghi comuni e credenze che le hanno accompagnate fin dalla pubertà.

«Questo è il mio sangue»non è il solo libro che scrive su tale tematica. Da dove nasce questa esigenza?
Pochi mesi dopo la pubblicazione in Francia di Ceci est mon sang, ho scritto, insieme all’illustratrice Mirion Malle, un libro rivolto alle e agli adolescenti.
Si intitola Les régles…quelle adventure (La ville Brule, pp. 64, euro 12). Bisogna riconoscere che si tratta di due unicità sul tema. La mia esigenza di scriverne nasce dalla constatazione che, nonostante le mestruazioni siano una costante ferma nell’esistenza di una donna, esista davvero così poco a riguardo. La scarsità della bibliografia in merito alla questione non rispecchia il primato del fenomeno.
Credo che riflettere su questa eccezione conduca a porsi una lunga serie di interrogativi e che questa «assenza» nel campo editoriale non debba essere considerata accidentale. Perché non ammettere invece si tratti della negazione di un argomento considerato quantomeno disturbante?

Lei utilizza un approccio scanzonato, tuttavia l’ironia non sminuisce la serietà del tema. Quali legami trova tra la concezione storica delle mestruazioni e quella contemporanea?
Certamente il mio libro supera, in numero di pagine, quanto Marie-Soline Royer, la mia editrice francese, si aspettasse avrei scritto sull’argomento. La cifra dell’ironia mi ha aiutato a stemperare il tenore e la mole dei temi affrontati. L’ironia è arrivata nel momento della scrittura, senza che mi fossi posta questa eventualità come qualcosa di necessario. Le mie ricerche sono cominciate anni fa, e a tutt’oggi continuano: sto seguitando a sviluppare alcune delle tematiche che affronto anche nel libro.
Non si tratta di qualcosa di concluso, ma di aperto anche all’universo della ricerca scientifica. Mi riferisco alle ricerche sulle cellule staminali presenti nel sangue mestruale ad esempio o alla rinascita dell’interesse nei confronti di prospettive antropologiche trascurate, come quelle che riguardano le società matriarcali del paleolitico.
Un capitolo del mio libro cerca di porre le basi per l’ipotesi che ci sia un fil rouge che lega la figura mitologica di Artemide, il culto di questa dea vergine e allo stesso tempo protettrice della maternità, al personaggio letterario di Ifigenia. Ipotizzo che tale filo attraversi terre e mari fino a arrivare ad Abramo – allo scampato sacrificio di Isacco – e ancora alla cintura della Vergine nell’isola di Athos fino al «Teddy Bear» di Theodor Roosevelt. Mi spingo infine alle Pussy Riot.

A partire dall’introduzione al suo libro lei tiene a sottolineare quanto le prospettive di osservazione cambino in relazione all’epoca ma anche al luogo di appartenenza. L’aspettativa di vita infatti gioca un ruolo chiave nell’economia delle esistenze femminili. Anche le possibilità di accedere economicamente ai metodi di protezione igienica (assorbenti esterni, interni, coppette, protezioni in tessuto, etc.) non sono trascurabili. Quanto peso ha l’intersezionalità nelle sue ricerche?
Sono convinta che questa dimensione di osservazione non sia più trascurabile; non esagero dicendo che sia fondamentale. Non avrei potuto restare cieca riguardo alle differenziazioni che si pongono nel momento in cui ho scelto di analizzare un fenomeno dalla mia prospettiva, in quanto donna bianca occidentale. Non è davvero ammissibile una cecità in tal senso: è d’obbligo situarsi, posizionarsi e sarebbe troppo limitata una visione che si permetta di non considerare tale pluralità. Riconosco che il mio approccio complessivo resta ancorato al marxismo: sono convinta che il riconoscimento della propria formazione definisca come ci situiamo in quanto soggetti, nel mio caso in quanto soggetto scrivente.
Un intero capitolo del mio libro è dedicato all’esposizione delle logiche di mercato che governano il commercio delle diverse forme di protezione igienica. È stupefacente quanta poca consapevolezza ci sia a riguardo! Lo affermo pur non volendo colpevolizzare le consumatrici.
Voglio sottolineare invece quanto poco venga detto sulla nocività delle sostanze utilizzate nella produzione delle protezioni igieniche che le donne utilizzano, tutti i mesi, salvo alcune eccezioni, per una durata complessiva di circa quaranta anni. Anche questa mia affermazione è situata: mi riferisco infatti al periodo fertile delle donne occidentali, storicamente legato all’aumento progressivo della durata media della vita. Se parlassi dei secoli precedenti al XX o al XXI e delle donne che non hanno accesso a un’alimentazione diversificata o a cure mediche di qualità la cifra cambierebbe.

Il tabù del sangue mestruale è intimamente legato alla condizione femminile. Scrivere e parlare delle mestruazioni, delle proprie e di quelle delle altre donne, è una questione di genere – lo è in un mondo dove «la dominazione patriarcale è di regola». Qual è il rapporto tra le mestruazioni e i femminismi?
Ho cercato di scrivere un libro che rispondesse all’esigenza di fornire alle donne, ma anche agli uomini, degli strumenti per integrare un fenomeno così presente nelle loro vite, e allo stesso tempo tanto misconosciuto. Ho letto Il secondo sesso di Simone de Beauvoir a 17 anni. De Beauvoir parla della vagina, del piacere femminile e delle mestruazioni – tematiche che negli anni del dopoguerra restavano un tabù. La sua inchiesta è rigorosa e resta non superata, nonostante i decenni. Tuttavia, già da quella mia prima lettura, ci fu qualcosa di quell’analisi che non mi soddisfaceva. Certo le linee emancipatrici del saggio, per la prima volta e sul limite terminale degli anni Quaranta, mostravano la possibilità per una donna di liberarsi dagli obblighi che fino ad allora sembravano connaturati al proprio sesso d’appartenenza. Allo stesso tempo si potevano leggere anche delle riflessioni a proposito del corpo femminile e del materno: la maternità, intesa come acme della riproduzione coatta, era vista come un ostacolo all’affrancamento personale. E le mestruazioni un impiccio. L’illusione di un corpo neutro dominava. Benché creda che il femminismo universalista sia stato una tappa utile per superare certi pregiudizi sul corpo femminile e che abbia largamente contribuito a «disfare» i sortilegi, continua a non sembrarmi totalmente soddisfacente.
Il mio libro cerca di rappresentare la storia di una secolare «costruzione simbolica» che ha accompagnato per secoli le donne; esso cerca di narrare fino a che punto le mestruazioni siano state concepite come gli eventi mensili più contigui all’infimo, alla sporcizia e all’impurità. Si tratta di andare oltre la convinzione che il tabù nei confronti del sangue mestruale non sia che una variante del disgusto nei confronti delle «escrezioni corporee». È qualcosa di ben diverso. Questa storia «di vergogna» scorre parallelamente alla nascita e allo sviluppo dei tre grandi monoteismi, ma non esclusivamente.

Conclude con una proposta, un invito: «E se cambiassimo le regole?». In che modo intimo e universale possono riconciliarsi?
Credo che pensare a come cambiare le regole sia necessario, vitale. Innanzitutto credo che si possa partire dal riconciliarsi con il proprio corpo; penso sia una buona base di partenza. Partire dal sé e dal proprio corpo resta a mio vedere imprescindibile.
Credo che intimo e universale possano riconciliarsi nel momento in cui le mestruazioni, e tutto ciò che segue questa costante atavica, escano dallo spazio nascosto in cui sono confinate. Le mestruazioni devono appunto uscire dal recinto esclusivo dell’intimo in cui sono relegate. Si tratta di non vergognarsi, di parlarne, di scriverne e di permettere che l’eco si moltiplichi.

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SCHEDA

Si chiama Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco, la mostra che inaugurerà oggi presso Palazzo Fibbioni all’Aquila, a cura di Manuela De Leonardis (fino al 17 marzo), in collaborazione con Soroptimist Club L’Aquila – A global voice for women, con il patrocinio del Comune dell’Aquila e del Mubaq – Museo dei bambini e il supporto tecnico di edizioni Ponte Sisto. Molte le artiste italiane e internazionali che hanno partecipato a questo appuntamento: si va da Ilaria Abbiento a Yasue Akiyama, Wafa Bahai, Carolle Bénitah, passando per Takoua Ben Mohamed, Tomaso Binga, Primarosa Cesarini Sforza, Rupa Chordia-Samdaria, fino a Lea Contestabile, Kristien De Neve, Isabella Ducrot, Maïmouna Guerresi, Susan Harbage Page, Sasha Huber, Hanako Kumazawa, Silvia Levenson, Florencia Martinez, Patrizia Molinari, Elly Nagaoka, Paola Romoli Venturi, Silvia Stucky, Ruchika Wason Singh.
Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco è un progetto artistico realizzato intorno al «pannolino», nato da un’idea di Manuela De Leonardis che, nel dicembre 2013, ha trovato in un mercatino di Roma, tra vecchi merletti e indumenti da corredo, alcune pezze di lino che fino agli anni ’60 del secolo scorso, ripiegate e appuntate all’interno delle mutande con una spilla da balia, servivano per tamponare e assorbire il flusso mestruale. Il legame concettuale e fisico tra il sangue delle donne e il «pannolino», quindi, è strettissimo. Partendo da questa consapevolezza, la curatrice ha coinvolto in questa riflessione un gruppo complessivo di 58 artiste internazionali, consegnando loro una «pezza» su cui poter intervenire.