Non ha solo aiutato Matteo Messina Denaro prestandogli la sua identità per farsi curare dal tumore, mettendogli a disposizione il covo di via Cb31 a Campobello di Mazara, dandogli il suo bancomat e intestando alla madre di 86 anni prima una Fiat 500 e poi la Giulietta con la quale il boss si spostava indisturbato: Andrea Bonafede, per gli inquirenti, non è un semplice fiancheggiatore ma «un uomo d’onore riservato». Il gip lo ha scritto nella misura cautelare, con cui ieri ha ordinato l’arresto del geometra per associazione mafiosa, il secondo arresto nell’inchiesta «Tramonto» dopo quello di Giovanni Luppino, l’agricoltore che condusse Messina Denaro alla clinica La Maddalena dove è finita la latitanza del capomafia.

I Ros hanno ammanettato Bonafede in una abitazione nella frazione di Tre Fontane, a poco più di 6 km da Campobello di Mazara, dove si era rifugiato da qualche giorno; era solo in casa, a poche centinaia di metri vivono la sorella e la madre. Per il gip Alfredo Montalto, che ha accolto la richiesta del pm della Dda Piero Padova, l’uomo «ha in concreto fornito un apporto di non certo secondaria importanza per le dinamiche criminose dell’associazione mafiosa della provincia di Trapani, avendo così consentito a Messina Denaro, non soltanto di mantenere la sua latitanza, ma soprattutto, anche mediante la sua presenza nel territorio, di continuare ad esercitare il ruolo direttivo dell’organizzazione mafiosa».

Bonafede, spiega il gip , «ha un’estrazione familiare compatibile con il ruolo di partecipe dell’associazione mafiosa, dal momento che egli è nipote (figlio del fratello) del noto Leonardo Bonafede, già ’reggente’ proprio della ’famiglia’ mafiosa di Campobello di Mazara che ha protetto, almeno negli ultimi anni, la latitanza dello stesso Messina Denaro consentendogli di svolgere appieno il ruolo di capo indiscusso della consorteria di Cosa nostra nella provincia di Trapani».

Quando gli investigatori sono arrivati da lui, il geometra, è la tesi del gip, ha cercato di minimizzare il suo ruolo sostenendo di aver visto il boss due volte e solo nel 2022. Mezze ammissioni e molte bugie secondo gli inquirenti. «Messina Denaro ebbe a usare l’identità fornitagli da Bonafede (se non dal luglio 2020 quando ebbe ad acquistare, a nome della madre ultraottantenne, un’auto) certamente già in occasione del primo intervento chirurgico subito il 13 novembre 2020».

E «non è, inoltre, di certo minimamente credibile che il latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d’Italia si sia ad un certo momento affidato ad un soggetto occasionalmente incontrato, non affiliato e che non vedeva da moltissimi anni, per coprire la sua identità». Inoltre, scrive ancora il gip, «l’esperienza dell’arresto di tutti i più importanti latitanti di Cosa nostra, peraltro, insegna che i soggetti di vertice di tale organizzazione, per evidenti ragioni di sicurezza personale, tendono ad escludere dalla conoscenza del covo dove da latitanti si rifugiano persino la gran parte degli associati mafiosi, limitando, piuttosto, tale conoscenza ad una cerchia più ristretta e più fedele di co-associati».

Intanto a Campobello prosegue la caccia a bunker passaggi sotterranei e fiancheggiatori. L’ultimo sospetto riguarda una donna. Nel covo di via Cb31 sono stati trovati abiti femminili mentre voci, non confermate, fanno rimbalzare l’ipotesi di un figlio segreto che avrebbe aiutato il boss nel periodo della latitanza. Ad alcuni degenti della clinica Messina Denaro, con l’identità di Andrea Bonafede, aveva raccontato di avere due figli: Lorenza Alagna però è l’unica figlia che risulta ufficialmente.