Si chiama “Brigada Nacional de los 43 Desaparecidos” la carovana partita ieri da Iguala, in Messico, per iniziativa dei famigliari dei 43 studenti della Normal rural Isidro Burgos di Ayotzinapa, scomparsi il 26 settembre, e con il sostegno della Federacion de Estudiantes Campesinos Socialistas de Mexico (Fecsm). Un convoglio politico-informativo composto da tre brigate, ognuna intestata a un ragazzo scomparso, che farà tappa in tre regioni del Messico e arriverà il 20 novembre nella capitale per una grande concentrazione nella Plaza de la Constitucion (el Zocalo).

La prima porta il nome di Julio Cesar Ramirez Montes e si recherà negli stati del Michoacan, Jalisco, Zacatecas e Chihuahua (alla frontiera con gli Stati uniti). La seconda è dedicata a Daniel Solis Gallardo e viaggerà negli stati di Morelos, Tlaxcala e Chiapas (contiguo al Guatemala). La terza è la Brigada Julio Cesar Ramirez Nava e andrà nei municipi di Guerrero de Tlapa, San Luis Acatlan, Ayutla, Tecoanapa, Zihuatanejo, Atoyac e Acapulco. «Il nostro obiettivo – ha detto alla stampa il padre di un ragazzo scomparso – è quello di far sapere alla gente che continuiamo a chiedere al governo di trovarli, perché per noi sono tutti vivi e si deve continuare a cercare».

I famigliari respingono la tesi della Procura generale della repubblica, secondo la quale i ragazzi sarebbero stati uccisi e bruciati dai narcotrafficanti dei Guerreros Unidos, uno dei cartelli imperanti nello stato del Guerreros, dove si sono svolti i fatti. Il 26 settembre, i normalistas (così chiamati per l’appartenenza ai combattivi istituti rurali messicani, le Normales rurales) sono stati attaccati dall’azione congiunta di polizia locale e membri dei Guerreros, lunga mano del sindaco di Iguala, ora in carcere. Già dopo i primi arresti (tra polizia e narcos sono fino a oggi detenute 79 persone), le confessioni di alcuni pentiti hanno portato alla scoperta di 12 fosse comuni, contenenti resti carbonizzati: nessuno, però, è risultato appartenere ai ragazzi scomparsi. Una conclusione a cui sono giunte entrambe le squadre di esperti, una nominata dal governo, l’altra dai famigliari. E ora alcune ossa sono state inviate a un titolato laboratorio austriaco, presso l’università di Innsbruck.

I Guerreros hanno d’altronde fatto trovare un messaggio indirizzato al presidente messicano Henrique Peña Nieto nel quale, oltre a fare alcuni nomi di personaggi sul libro paga dei narcotrafficanti, sostengono che i ragazzi sono ancora in vita. «Vivi li hanno presi e vivi li rivogliamo», gridano i manifestanti, in un crescendo di mobilitazioni, anche violente, che si susseguono, dentro e fuori il paese. In diverse regioni vengono attaccati i palazzi del governo e anche le sedi del Partido de la Revolucion Democratica (Prd).

Alla formazione socialdemocratica appartengono sia il sindaco di Iguala – accusato di aver ordinato la mattanza per impedire una contestazione al comizio della moglie e che versava forti somme ai Guerreros-, sia il governatore del Guerrero, ora sostituito. Un intreccio di mafia e politica che permea da lungo tempo le istituzioni messicane e che ora depotenzia anche le dichiarazioni del due volte candidato di sinistra Manuel Lopez Obrador, accusato di essere al corrente della corruzione in atto nel Guerrero.

Secondo l’Istituto nazionale di statistica (autonomo dal governo), nel 2013 sono state sequestrate in Messico 123.470 persone e oltre 22.000 sono scomparse dal 2006, quando è iniziata la guerra ai cartelli della droga. Una svolta che ha aumentato potere e abusi dei militari e delle polizie e ha alimentato il business della sicurezza, foraggiato dagli Stati uniti: ma non ha certo portato quelle misure strutturali necessarie a risolvere le cause che spingono i giovani dei ceti popolari nelle mani dei cartelli. Nel tentativo di far fronte alla crisi peggiore affrontata finora da Nieto, la Camera ha aumentato i finanziamenti per le scuole rurali, che protestano contro le misure neoliberiste imposte dal governo.